Libero Andreotti

Libero Andreotti

Libero Andreotti nasce a Pescia il 15 giugno 1875. Per tutto il periodo della fanciullezza lavora nell’officina di un fabbro, dopo i diciassette anni si sposta a Lucca dove stringe rapporti con il mecenate Alfredo Caselli e il poeta Giovanni Pascoli che lo iniziano al mondo dell’arte.

Grazie allo zio Ferruccio Orsi ottiene a Palermo un lavoro presso l’editore Sandron come illustratore del settimanale socialista «La Battaglia». Tuttavia nel 1899, deluso dagli ambienti isolani, torna a Firenze dove trova occupazione in una tipografia. Relativamente tardi, attorno al 1902, inizia a modellare in creta nello studio di Mario Galli, incoraggiato dagli amici Galileo Chini, Oscar Ghiglia e Adolfo De Carolis.

Libero Andreotti, la partecipazione alla Biennale di Venezia

Nel 1906, trasferitosi a Milano, la sua opera colpisce Vittore Grubicy de Dragon che lo incoraggia a partecipare alla VII edizione della Biennale di Venezia del 1907. È nella capitale lombarda che nel 1906 Andreotti si aggrega al gruppo dei divisionisti. Dal 1907 al 1914 Libero Andreotti soggiorna a Parigi, dove subisce l’influenza di Bourdelle e J. Bernard.

Il successo di Parigi

Nel 1911 espone con una personale alla Galérie Bernheim Jeune e in seguito al Salon d’Automne, ottenendo un notevole successo. Proprio a Parigi si verifica in Andreotti l’abbandono delle giovanili esperienze impressionistiche e il conseguente orientamento verso la ricerca della compattezza nella massa plastica.

A seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale sarà costretto a rientrare a Firenze dove insegnerà all’Istituto d’Arte e sarà a capo del cosiddetto cenacolo dell’«Antico Fattore». In questi anni la sua ricerca si indirizza verso il monumentale, con riferimenti alla scultura romanica e al Quattrocento fiorentino. Pur attraverso una certa stilizzazione, la produzione in marmo e bronzo sarà abbondante.

La produzione artistica degli anni ’20 di Libero Andreotti

Appartengono a questo periodo i monumenti ai Caduti di Roncade (1922), il monumento ai Caduti di Saronno (1924), il monumento alla Madre Italiana in Santa Croce a Firenze (1924-1-925), il Cristo risorto nell’Arco della Vittoria a Bolzano (1928) e il gruppo di Africo e Mensola alla Galleria nazionale d’arte moderna a Roma del 1933. Gli ultimi anni della sua vita li trascorse a Firenze, dove diviene animatore dell’ambiente culturale cittadino.

Libero Andreotti muore a Firenze il 4 aprile 1933.

Giacomo Balla, artista del novecento italiano

Giacomo Balla

Giacomo Balla

Giacomo Balla, artista del novecento italianoGiacomo Balla nasce a Torino il 18 luglio 1871. Sin da adolescente dimostra una crescente predilezione per la pittura e il disegno ed eredita dal padre la passione per la fotografia, medium che influenza la tecnica delle sue prime opere pittoriche nella scelta di certe inquadrature.

Giacomo Balla: gli studi e l’esordio da pittore nel 1891

Giacomo Balla frequenta i corsi dell’Accademia Albertina e la scuola serale di disegno esordendo come pittore alla Società promotrice di belle arti nel 1891. Nel 1895 lascerà Torino per trasferirsi a Roma, dove lavora come caricaturista ed entra in rapporti amichevoli con Duilio Cambellotti e Serafino Macchiati, ospite del quale soggiornerà a Parigi tra il 1900 e il 1901.

Giacomo Balla, la partecipazione alla Biennale di Venezia

Tornato a Roma, Giacomo Balla esegue oltre a paesaggi e ritratti, opere di tematica sociale e populista (La giornata dell’operaio, 1904), tradotti in uno stile divisionista. Nel 1899 le sue opere vengono presentate alla Biennale di Venezia, all’Esposizione Internazionale di Belle Arti di Roma e presso le gallerie della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, dove esporrà regolarmente nel decennio successivo. In questi anni il suo studio è frequentato da Boccioni e Gino Severini che da lui apprendono il metodo della divisione del colore. Negli anni successivi Giacono Balla abbandona gradualmente la tematica sociale finalizzando la tecnica divisionista a esiti analitici e sperimentali.
Nel 1903 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, nel 1909 al Salon d’automne a Parigi e al Salone internazionale di Odessa.

Il Manifesto dei pittori futuristi

Nel 1910 sottoscrive il Manifesto dei pittori futuristi e La pittura futurista – Manifesto tecnico con Boccioni, Severini, Russolo e Carlo Carrà, ma esporrà con i futuristi soltanto a partire dal 1913. In questi anni Giacomo Balla indirizza la sua ricerca verso la resa pittorica del dinamismo, della vita moderna, della velocità e degli effetti della luce artificiale, in armonia con lo spirito del movimento. Si avvicina agli studi compiuti da artisti e scienziati sulla possibilità di catturare il movimento attraverso nuove tecniche, come il Fotodinamismo di Antonio Giulio Bragaglia.

La scultura di Giacomo Balla

Nel 1912 soggiorna a Londra e Düsseldorf, per decorare la casa Löwenstein, e da questa occasione prendono avvio le prime Compenetrazioni iridescenti. Nel 1914 si cimenta per la prima volta con la scultura polimaterica, che presenta alla Prima esposizione libera futurista presso la Galleria Sprovieri di Roma.
Negli anni della prima guerra mondiale insegue l’idea di arte totale definita arte e azione futurista e con Fortunato Depero redige nel 1915 il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo.
Con la morte di Boccioni e il dissolversi del futurismo milanese, il centro di gravità si sposta a Roma, dove Balla ne assume la guida. Nel dopoguerra si interessa alla scenografia, alla decorazione e progettazione di ambienti, alla produzione di oggetti d’arredo; realizza le scene per le Feu D’artifice di Igor Stravinsky del 1917. Partecipa alle sequenze del film Vita futurista (1916) dove presenzia assieme a Marinetti alle riprese.

Il Manifesto del Colore, 1918

Nell’ottobre del 1918 pubblica il Manifesto del colore, in cui analizza il ruolo del colore nella pittura d’avanguardia e più tardi nel 1929 sottoscrive il Manifesto dell’aeropittura.
Nell’ambito della sua adesione al futurismo, si ricorda che nel 1926 egli scolpì una statuetta con la scritta alla base “Sono venuto a dare un governo all’Italia”, opera consegnata a Mussolini. Negli anni Trenta Balla era divenuto l’artista del fascismo per eccellenza, apprezzatissimo dalla critica. Nel 1933 realizza Marcia su Roma (verso di Velocità astratta), sembra che l’opera sia stata commissionata dallo stesso Duce. I rapporti con il futurismo si interrompono attorno alla metà degli anni Trenta con il suo ritorno alla pittura figurativa; fino a alla dichiarazione rilasciata con una lettera al Giornale «Perseo» nel 1937, in cui si dice estraneo alle attività futuriste
Giacono Balla muore a Roma il primo marzo 1958.

Linee spaziali, 1920 Olio su carta intelata Cm 50x64
Giacomo Balla - Linee spaziali, 1920 Olio su carta intelata Cm 50x64
Afro Basaldella, artista del novecento italiano

Afro Basaldella

Afro Basaldella

Afro Basaldella, artista del novecento italiano

Afro Libio Basaldella nasce a Udine nel 1912. Dopo la morte del padre, pittore e decoratore, studia a Firenze e a Venezia dove si diploma in pittura nel 1931. L’esordio artistico avviene nel 1928, all’età di 16 anni, quando espone con i fratelli Mirko e Dino alla I Mostra della Scuola Friulana d’Avanguardia a Udine.

L’anno seguente prende parte alla XX Esposizione dell’Opera Bevilacqua La Masa a Venezia. Sempre nel 1929 ottiene una borsa di studio della Fondazione Marangoni di Udine, grazie alla quale si reca a Roma con il fratello Dino. Qui Afro Basaldella entra in contatto con l’ambiente artistico della capitale e quindi con Scipione, Mario Mafai e Corrado Cagli.

Nel 1932 si trasferisce a Milano dove, grazie all’intermediazione del fratello Mirko, frequenta lo studio di Arturo Martini. Sempre a Milano nel 1933 ha l’occasione di esporre alla Galleria del Milione. In seguito Afro tornerà a Roma per poi partecipare nel 1935 alla Quadriennale. Proprio nella capitale, alla Galleria Cometa avranno luogo le prime personali dell’artista nel ’36 e ’37.

La partecipazione alla biennale di Venezia

Sempre nel 1936 prende parte alla Biennale di Venezia, a cui parteciperà anche alle successive edizioni del ’40 e del’42. Nel 1938 Afro Basaldella si reca a Parigi dove fa la diretta conoscenza dell’opera di Picasso, autore che influenzerà gli anni della sua maturità artistica a tal punto che nel primo dopoguerra la sua pittura sarà definita neocubista.

Dopo l’esperienza della Scuola Romana, il breve avvicinamento al Neocubismo e la realizzazione di pitture murali, nel 1950 Afro parte alla volta degli Stati Uniti, iniziando la ventennale collaborazione con la Catherine Viviano Gallery. Sarà la variegata scena artistica americana a influenzare l’opera di Afro verso l’astrazione.

Afro Basaldella e il riconoscimento internazionale

Nel 1952 aderisce al Gruppo degli Otto, raccolto attorno alla figura di Lionello Venturi che in un saggio critico ne loderà l’abilità tecnica e la poesia del lavoro. A metà degli anni Cinquanta l’opera di Afro riscuote consensi a livello internazionale: espone nella mostra The new Decade: 22 European Painters and Sculptors, mostra itinerante negli Stati Uniti, partecipa a Documenta I di Kassel. Nel 1955 entra a far parte della commissione per gli inviti alla VII Quadriennale di Roma e l’anno seguente vince il premio per il migliore artista italiano alla Biennale di Venezia.

Nel 1957 Afro insegnò al Mills College di Oakland. Nel 1958 ottenne la commissione per dipingere il murale per la sede dell’Unesco a Parigi. Il murale si intitolava “The Garden of Hope”, (Il Giardino della Speranza) e fu incluso in una serie di lavori che comprendeva anche opere di Karel Appel, Arp, Alexander CalderRoberto MattaMiróPicasso e Rufino Tamayo.

Afro continuò ad esporre le sue opere nel circuito internazionale. Fu invitato alla seconda Documenta, ed espose al MIT ed in vari musei europei. Vinse il primo premio alla Carnegie Triennial di Pittsburgh, ed il premio italiano al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Il Guggenheim comprò il suo quadro del 1957 “Night Flight”.

All’inizio degli anni Sessanta Afro continua a esporre le sue opere nel circuito internazionale come alla II Documenta e al MIT. In seguito vince il primo premio alla Carnegie Triennial di Pittsburgh e il premio italiano al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.

La morte di Afro Basaldella

Dopo la morte nel 1969 del fratello Mirko, Afro inizia ad accusare problemi di salute che si ripercuotono notevolmente sulla sua produzione, caratterizzata dall’intensificarsi dell’opera grafica a discapito dell’attività pittorica ed espositiva.

Muore nel 1976 a Zurigo.

Angelo Biancini

Angelo Biancini

Angelo Biancini

Angelo Biancini

Nato a Castel Bolognese il 24 aprile 1911, Angelo Biancini viene indirizzato dal padre artigiano al corso professionale per ebanisti e intagliatori alla scuola «F. Alberghetti» di Imola. Nel 1929 si iscrive ai Corsi Superiori all’Istituto d’Arte di Firenze dove si rivela determinante l’incontro con Libero Andreotti, a cui resterà intimamente legato e lo ricorderà sempre come suo unico, vero maestro. Le influenze di Andreotti su Biancini andranno ben oltre il primo periodo successivo alla scuola e gli echi si ripercuoteranno fino agli anni di Laveno quando riprenderà temi già elaborati a scuola o basati sul ricordo di opere del maestro.

Nel suo primo studio, uno stanzone dell’ex convento, si dedica alla maiolica prima di orientarsi in maggior misura alla modellatura e alla scultura.

Le prime testimonianze di un interesse ceramico di Biancini sono le due piccole statue del 1933 per l’ENAPI realizzate con Renato Bassanelli, poi esposte alla V Triennale di Milano: in questo come in tutti i casi di collaborazione successivi, Biancini si limitò alla modellazione dell’opera non trascurando, però, di dare agli esecutori precise indicazioni circa i colori e gli smalti più appropriati. Una maggiore produzione ceramica risale al periodo 1937-40, quando è attivo nella Società Ceramica Italiana a Laveno, dove collabora con Guido Aldovitz alla direzione artistica della fabbrica.

Nel 1934 arriva il suo primo successo con la vincita del premio della sezione scultura ai Littoriali dell’Arte a Roma con la Lupa. Nello stesso anno partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia con La Lwzcha. A Roma espone alla II Quadriennale d’Arte Nazionale, poi nel 1937 realizza due gruppi scultorei per il Ponte delle Vittorie a Verona.

In quegli anni, grazie all’intermediazione di Andreotti, Biancini viene incaricato di realizzare una delle statue in marmo destinate ad ornare il Foro Mussolini a Roma (Atleta Vittorioso), che verrà uniformata a uno schema predefinito e realizzata da artigiani carraresi.
Nel 1942 entra all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza e, nel dopoguerra, subentrerà a Domenico Rambelli nella cattedra di Decorazione e Plastica Ornamentale.

Ormai la figura di Biancini emerge come una delle più autorevoli tra i nuovi protagonisti della scultura italiana. Accanto all’attività didattica, continua quella artistica con la partecipazione ai maggiori concorsi nazionali. Nel 1943 con una mostra personale alla Quadriennale Romana ottiene il premio nazionale.

Il dopoguerra è per Biancini un momento di rinnovato successo: con le due personali milanesi del 1948 e del 1956 alla Galleria San Fedele si impone ulteriormente all’attenzione della critica nazionale. Sono numerosi i premi negli anni successivi: al Palazzo Esposizioni di Milano vince il «Bagutta» per la scultura (1961), nello stesso anno, è premiato per il bronzo San Giovanni nel deserto alla Mostra Internazionale di Arte Sacra di Trieste dove vince nuovamente nel 1963 con Il Pastore Sacro. Tra le opere monumentali risaltano i rilievi per la nuova Basilica di Nazareth (1959), il baldacchino del Tempio dei Martiri Canadesi a Roma (1961) e il ciclo scultoreo per l’Ospedale Maggiore di Milano (1964). Nel 1981 lascia l’Istituto d’Arte di Faenza per continuare a lavorare in studio.
Muore nel 1988 a Castel Bolognese.

Antonio Biggi

Antonio Biggi

Antonio Biggi

Antonio Biggi nasce a Carrara il 19 ottobre 1904. Figlio di uno scalpellino ha operato per lungo tempo a Roma, con studio in via Margutta. Prende parte alla VI Sindacale Fascista del Lazio (1936) con Ritratto del pittore Saitto e Adolescente, alla I Mostra Nazionale d’Arte sportiva con Discobolo. Nello stesso anno esegue il Ritratto di Vittorio Emanuele II in bronzo per l’Aula della Corte d’Assise del Tribunale di Littoria. È presente anche alla VII (1937), VIII (1938), IX (1940), X (1942) Sindacale Fascista del Lazio. Nel 1939 espone Marzia alla III Quadriennale romana. Nel 1941 su commissione del Genio Civile, previo parere favorevole dell’arch. Frezzotti, realizza un pannello decorativo in marmo rosso porfirico per il salone delle riunioni nella Casa del fascio di Littoria (l’attuale palazzo M), andato distrutto durante l’ultima guerra. Espone alla IV (1943), VI (1951), VII (1955), VIII (1959) Quadriennale romana. Nel dopoguerra vince il concorso per la realizzazione delle porte in bronzo della Basilica di S. Pietro e realizza il portale della Chiesa degli Artisti a Roma. È morto a Roma nel 1966.

Antonio Biggi Squadrista, 1938 Gesso Cm h. 160
Adriana Bisi Fabbri, Autoritratto con collana

Adriana Bisi Fabbri

Adriana Bisi Fabbri

Adriana Bisi Fabbri, Autoritratto con collanaAdriana Bisi Fabbri nasce a Ferrara il primo settembre 1881.
Nel 1907 si trasferisce a Padova, trovando ospitalità in casa della zia, Cecilia Forlani, madre di Umberto Boccioni. Sebbene incomincia a praticare l’arte del disegno da autodidatta, la formazione artistica di Adriana Bisi Fabbri avviene principalmente negli studi di Gaetano Previati e Luigi Conconi.

Insieme a suo marito, il giornalista Gino Bisi e i suoi due figli Riccardo e Marco, si trasferisce dapprima a Bergamo, in seguito a Mantova e a Milano. Nel 1911 partecipa a diverse iniziative: alla prima Esposizione di arte Libera al salone Ricordi di Milano, sollecitata da suo cugino Umberto Boccioni ed espone due acquerelli, Paonessa e Lucertola; mentre a Roma tiene la sua prima personale al Lyceum, al Castello Rivoli ottiene la medaglia di bronzo al “Frigidarium”, Mostra internazionale di umorismo, realizzando, in tale occasione, le caricature satiriche di figure femminili, La nipote, La nonna, La zia, La francese, La spagnola, L’americana.
A seguito del premio ottenuto, Adriana Bisi Fabbri nel 1913 a Parigi espone alla Mostra della caricatura italiana e a Bergamo realizza il manifesto dell’Esposizione di arte umoristica; vince la medaglia d’oro alla seconda Esposizione internazionale femminile di belle arti nella sezione “Donne nella caricatura”.

Adriana Bisi Fabbri, attività tra il 1915 e il 1918

Dal 1915 al 1918 si intensifica notevolmente la sua attività sia caricaturale che di illustratrice per testate come “La Freddura”, “Il numero”, “Il Secolo illustrato”, “L’almanacco popolare sanzogno”. Nel 1917 partecipa al concorso nazionale d’arte “per la nostra guerra”, presentando il trittico Un nido tra due pietre. Nelle caricature eseguite per i giornali si firma “Adrì”, abbreviazione mascolinizzata che le consentì di far accettare senza difficoltà i suoi disegni di satira politica.
Muore a Travedona (Varese) il 29 maggio 1918.

Amedeo Bocchi, artista italiano del novecento

Amedeo Bocchi

Amedeo Bocchi

Amedeo Bocchi nasce a Parma il 24 agosto 1883.

Inizia la sua formazione all’Accademia di Belle Arti di Parma, seguendo i corsi del maestro Crecope Barilli e termina gli studi nel 1902, presso la Libera Scuola del Nudo a Roma, in cui ha l’occasione di conoscere Giulio Artistide Sartorio, Camillo Innocenti e Antonio Mancini.

Le prime produzioni di Amedeo Bocchi

Le sue prime produzioni romane riguardano tematiche sociali come La rivolta del 1906 oppure, sempre dei primi anni del Novecento, Abbrutimento, Cassoniere, Pulitore di pennelli, ma dipinge  opere che hanno anche una forte inclinazione al Liberty come Fiori di Loto del 1905. Il tema paesaggistico ricorre in sue diverse opere, influenzato dai viaggi compiuti a Terracina e alle Paludi Pontine. Il tema della lotta di classe si accompagna, allo stesso tempo, verso il genere ritrattistico femminile.

Amedeo Bocchi, artista italiano del novecentoAmedeo Bocchi espone soprattutto alle mostre degli Amatori e Cultori di Roma, alle Esposizioni romane e fiorentine e alle Biennali di Venezia, dove nel 1910 partecipa e rimane entusiasta e ammirato dalla sala personale del secessionista viennese Gustav Klimt. Numerose sue opere sono di chiara ascendenza secessionista come le Tre Marie, realizzate due anni dopo la Biennale di Venezia, nel 1912, in occasione dell’Esposizione di Milano, in cui Amedeo Bocchi vince la medaglia d’oro.

Nei primi decenni del Novecento Amedeo Bocchi studia affresco a Padova nello studio del maestro Achille Casanova, artista liberty che lo coinvolge direttamente nella decorazione dell’abside della chiesa del Santo. La pittura murale di Amedeo Bocchi è influenzata dalle ricerche intimistiche del tempo, dall’Art Nouveau, visibile direttamente nel suo lavoro di ricostruzione della Sala d’Oro nel Castello di Torrechiara, poco distante da Parma. Di forte ascendenza simbolista è il trittico Le sorelle del 1916, nel pannello centrale è raffigurata La saggia mentre nei pannelli laterali La colta e La folle.

Allo scoppio della Grande Guerra si trasferisce, insieme a Brozzi, in Villa Strohl – Fern a Roma.

Espone Mattino d’estate e Malaria alla Biennale di Venezia del 1924, mentre nel 1926 Ragazza nuda. Sempre negli anni Venti entra nell’Accademia di San Luca; nel 1931 alla Quadriennale di Roma, dipinge i suoi famigliari: La sorella, la figlia, il viaggio nell’anima.

Fino agli anni Sessanta dipinge seguendo uno stile simbolista e lavora attivamente fino alla fine: nel 1967 ottiene la sua prima mostra retrospettiva e, nel 1972, riceve la medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e dell’arte dal Presidente della Repubblica.

Amedeo Bocchi muore a Roma il 16 dicembre 1976.

 

Edita Walterowna Broglio

Edita Walterowna Broglio

Edita Walterowna Broglio

Edita Walterowna BroglioEdita Walterowna Broglio nasce il 26 novembre 1886 a Smiltene.

Proviene da una nobile famiglia, il padre Walter discendeva dai Cavalieri dell’Ordine Teutonico, mentre la madre apparteneva ad una famiglia di commercianti francesi che si erano insediati a Riga.

Dopo la morte della madre, si trasferisce a Tartu dallo zio paterno,  il barone Raimund von Zur-Muehlen, conosciuto per le sue celebri esibizioni presso la corte dello zar e dell’imperatore prussiano. Edita, affascinata dal talento dello zio, si avvicina all’arte, allo studio e al disegno.

Nel 1905 i moti rivoluzionari russi la costringono a trasferirsi, insieme al padre, a Koninsberg, dove si iscrive nel 1908 all’Accademia di Belle arti e conclude il suo percorso accademico nel 1910; nello stesso anno si sposta a Parigi e inizia a frequentare numerosi ateliers, realizzando il desiderio di abitare in una delle capitali artistiche europee.

L’arrivo in Italia

L’anno successivo, nel 1911, arriva per la prima volta in Italia, soggiorna brevemente a Firenze e a Roma, decidendo di stabilirsi nell’Urbe nel 1912. Affitta un piccolo studio in via Flaminia 122 e inizia il periodo che definisce incandescente e visionario: nel 1913 si tiene a Roma la prima Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione presso il Palazzo dell’Esposizioni; Edita avvia la sua attività espositiva, presentando le sue opere tra le quali Mezzodì, Via Sistina, Fiori.

Nel 1914 muore lo zio, torna nella sua città natale, a Smiltene, e, dopo aver sistemato la tomba di famiglia, decide di non ritornare più, scegliendo l’Italia come sua seconda patria.

Nel 1917 conosce lo scrittore e organizzatore di mostre d’arte Enrico Maria Broglio, con il quale condivide letture e critiche artistiche. Nei suoi dipinti inizia a firmarsi Edita Broglio; a curare, insieme al suo futuro marito, la celebre rivista d’arte fondata nel 1921“Valori Plastici” che condivideva le proposte della Metafisica e dei movimenti d’avanguardia europei.

Edita e Mario Broglio si sposano nel 1927.

Edita Broglio con il gruppo Valori Plastici espone nel 1922 alla Fiorentina primaverile, inaugurata da Alberto Savinio.

Oltre a essere pittrice, ha l’arte del canto e una dote innata per la recitazione tanto che partecipa al provino per il film Il mio cadavere e Perfido inganno di Anton Giulio Bragaglia, proprietario di una galleria d’arte e di un negozio di fotografia in via Condotti.

La sua pittura è influenzata da varie suggestioni internazionali, dalla cultura dell’avanguardia russa al Blaue Reiter, al primitivismo, fino ad avvicinarsi alla corrente del “Realismo magico”.

Quando Mario Broglio muore il 22 dicembre 1948, Edita si trasferisce a San Michele di Moriano in provincia di Lucca, in cui trascorre un periodo di meditazione, ma di fervida produttività: dipinge la serie delle Ore del giorno e nature morte in tonalità musicale. Riprende, in questi anni, l’esperienza russa dell’esordio, le sonate di Michail Čurlionis, l’immaginario simbolista e la ricerca verso l’astrattismo di Vasilij Kandinsky. Rimane a San Michele fino al 1955, anno in cui ritorna a Roma e cura, per poco tempo, l’edizioni di “Valori Plastici”.

Nel 1959 è presente alla Quadriennale romana; nel 1967 espone a Firenze alla mostra “Arte italiana, 1915-1935”, curata da Carlo Ludovico Rugghianti.
La sua dedizione all’arte e alla scrittura continua instancabilmente e nel 1974, all’età quasi di novant’anni, mette ordine nell’archivio di “Valori Plastici”, collaborando con il poeta e pittore Georges De Canino.
Edita Walterowna Broglio muore a Roma il 19 gennaio 1977.

Umberto Brunelleschi, artista del novecento italiano

Umberto Brunelleschi

Umberto Brunelleschi

Umberto Brunelleschi, artista del novecento italiano

Hijo de Pietro, asegurador y de Benedetta Cappelli, nace en Montemurlo, en Pistoia, el 21 de junio de 1879. Inicialmente destinado a seguir los pasos paternos estudia, en cambio, pintura y escultura en la Academia de Bellas Artes de Florencia bajo la guía de Raffaello Sorbi y de Giuseppe Cianfani, frecuentando al mismo tiempo la “Scuola libera del Nudo”. Estrecha amistad con Ardengo Soffici y Giovanni Costetti junto a los que partirá con veinte años a la vuelta de París, atraído por la grande Exposición del 1900. Brunelleschi pronto encontrará trabajo como ilustrador en las revistas de moda y en periódicos humorísticos como «Le Rire», «Le Frou-Frou», «L’Assiette au Beurre», firmando inicialmente con el pseudónimo Aroun-Al-Raxid y Aron-al-Rascid. Desde 1906 el artista realiza diferentes portadas para el «Giornalino della Domenica», y hacia finales de 1908 figura entre los primeros colaboradores del «Corriere dei Piccoli» donde en calidad de ilustrador dará vida a diferentes personajes para las tablas coloradas, como Fifina, Pupo, Coccoletta, Frugolino y Frugoletto.

En todos estos años no abandonó la pintura, pero será la ilustración a hacerlo célebre ya al final del primer decenio del Novecientos. El pintor florentino Baccio Maria Bacci testimonia en algunas páginas de su diario datado en 1913 en el que se describe una de las magníficas fiestas organizadas por el artista, en su lujoso estudio parisino de Via Boissonarde, «messo un po’ alla orientale, un po’ alla liberty» (“puesto un poco a la oriental, un poco a la liberty”) en el que participaban artistas, escritores y personalidades importantes de la época. Modigliani, Picasso, Soutin, Derain, D’Annunzio, Ida Rubinstein, son solo algunos de los nombre de la lista de los amigos y frecuentadores de la casa de Brunelleschi.

En esta época ya se había casado con Camille, llamada «Camillona […] bionda, prosperosa, espansiva» (“Camillona […] rubia, próspera, expansiva”), que había compartido con él también los momentos menos afortunados.

Al estallar la primera guerra mundial volvió a Italia y partió para el frente, continuando a dibujar en «Il Numero» y «La Tradotta», periódico de la “Terza Armata” fundada por él mismo.

En 1919 volvió a París donde fundó la «Guirlande», una revista colorada integralmente “au pochoir”.

Hasta los años treinta su actividad es casi frenética, trabajó mucho en teatro sea como diseñador de vestuario que como escenógrafo. Se ocupó de las preparaciones escénicas para las Folies Bergère, el Casino, el Mogador, el Châtelet, el Marigny y el Théâtre de París y en 1926 preparó una serie de ballets (Old Heidelberg) en el Roxy de Nueva York. En 1924 inició a dibujar los vestidos para la Turandot, comisionados por Giacomo Puccini, hoy conservador en el Museo Teatrale della Scala di Milano.

Además de exponer ininterrumpidamente en las Bienales de Venecia desde 1914 a 1938, preparó varias exposiciones personales en París, normalmente exponiendo retratos de personajes ilustres de su tiempo.

Murió en París el 16 de febrero de 1949.

Dino Buzzati, artista del novecento italiano

Dino Buzzati

Dino Buzzati

Dino Buzzati Traverso nasce il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino di Belluno.
Proviene da una famiglia alto borghese e di ricca tradizione culturale; il padre, Giulio Cesare Buzzati, fu un noto giurista di Belluno, la madre, Alba Mantovani, di origini venete, fu la sorella dello scrittore Dino Mantovani.

Fin dall’infanzia la sua educazione è temprata dagli studi umanistici, dalle letture classiche; la sua formazione è seguita premurosamente dalla madre, per la quale Dino Buzzati ha grande ammirazione e stima.
Studente diligente, conseguita la maturità classica, si iscrive all’Università di Milano, conseguendo, nei giusti tempi, la laurea in Giurisprudenza. Appassionato di letteratura e scrittura, Dino Buzzati preferisce dedicarsi alla professione giornalistica piuttosto che giuridica. Ancor prima di finire il suo percorso accademico, nel 1928 entra come praticante al “Corriere della Sera” e, dopo una lunga gavetta, diviene redattore, infine inviato. La sua carriera giornalistica non ha un immediato successo; la “Domenica del Corriere” gli respinge alcuni testi, tra cui un raccontoche prende come riferimento le storie di Edgar Allan Poe, illustrato da disegni di piccole dimensioni; diversamente da Barnabo delle montagne, che gode di un discreto successo, Il segreto del bosco vecchio cade nell’oblio e nell’indifferenza.

Nonostante gli ostacoli, Dino Buzzati continua a scrivere racconti originali, adottando particolari caratteri come gli elzeviri, non graditi dal “Corriere”, ma di raffinata ed elevata qualità letteraria.

Nel 1940, anno della pubblicazione del suo celeberrimo romanzo, Il deserto dei Tartari, è inviato di guerra dal ”Corriere” ad Addis Abeba, scrive numerosi racconti che sono stati pubblicati nel 1992 nella raccolta Il buttafuoco: cronache di guerra sul mare.
Aderisce alla Repubblica sociale italiana; pubblica nell’edizione Mondadori la sua prima raccolta di novelle: I settemessageri.
il 26 aprile 1945 firma sul “Corriere” in prima pagina il suo editoriale Cronaca di ore memorabili, in cui commenta la Liberazione, avvenuta il giorno precedente.

Dopo la caduta del Fascismo, si dedica alla cronaca nera, il suo settore prediletto; in seguito, nel 1950, è vicedirettore della “Domenica del Corriere”.Verso la fine degli anni Sessanta scrive soprattutto nel settore d’arte e viene nominato dal “Corriere” critico d’arte.
Non solo giornalista, uomo colto, amante della letteratura e dell’opera lirica, Dino Buzzati è anche un talentuoso pittore e disegnatore che riesce a esprimere nelle sue opere una narrazione che si lega sempre alla letteratura oppure ai suoi romanzi; Buzzati stesso definisce i suoi dipinti storie dipinte, e lo stile pittorico segue il Simbolismo, la Metafisica dechirichiana. Negli anni Sessanta, invece, abbandona il sogno, l’apparente sospensione del tempo, per avvicinarsi a uno stile più oscuro, noir, caratterizzato da tematiche quali il delitto, la sessualità come La vampira del 1965 oppure Laide del 1967, quest’ultima opera richiama la giovane ballerina, protagonista del suo appassionante romanzo Un amore del 1963.

I Miracoli di Val Morèl, datati 1971, sono il suo ultimo lavoro, in cui raccoglie 39 invenzioni di ex voto.
Muore a Milano il 28 gennaio 1972.

Duilio Cambellotti

Duilio Cambellotti

Duilio Cambellotti

Duilio Cambellotti

Duilio Cambellotti è l’artista-artigiano per eccellenza, impegnato nella questione sociale e nella didattica.
Come William Morris sostiene l’utopia socialista dell’arte globale, moralistica, pedagogica, accessibile a tutti.
Si diploma in ragioneria al Liceo Artistico Industriale specializzandosi nella cesellatura del metallo. Nel 1897 ottiene l’abilitazione per insegnare nelle scuole e nello stesso anno vince il concorso per la realizzazione dei pali di sostegno delle tranvie romane il cui modello in legno farà eseguire a Mariano Coppedé. Terminati gli studi inizia l’attività di designer, progetta specchi, cofanetti, cornici, spille e una serie di lampade per la ditta Schulz di Berlino e per altre ditte europee. Nel 1898 partecipa al concorso per il manifesto dell’Esposizione Nazionale di Torino con l’opera Incandescenza, disegnato per la ditta Lipizzi. Con l’amico Alessandro Marcucci frequenta Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Vittorio Grassi, Gino Severini, Umberto Bottazzi.
Dal 1903 comincia a collaborare con il «Fantasio», «L’Avanti della Domenica», «Rassegna Internazionale», «Novissima». Nel 1905 è costumista del neonato Teatro Stabile di Roma e nel 1908 disegna i costumi e progetta la scenografia de La Nave di D’Annunzio nel Teatro Argentina di Roma. Nello stesso anno insieme a Grassi e Bottazzi dà vita al settimanale «La Casa», mentre con l’amico Marcucci e Sibilla Aleramo promuove la costruzione di scuole nella campagna romana. Nel 1913 disegna gli arredi e i costumi per il film Gli ultimi giorni di Pompei.
Illustra Nel regno dei nani di A. France, Storie Meravigliose di N. Hawthorne e Le Mille e una Notte. Nel 1914 disegna le scene per Agamennone di Eschilo rappresentato al Teatro Greco di Siracusa con cui fu impegnato in una trentennale collaborazione. Nello stesso anno partecipa all’Esposizione Internazionale del libro e della grafica d’arte a Lipsia con alcune tempere del ciclo «Leggende Romane». Nel 1915 partecipa alla III Secessione Romana con un gruppo di vetrate eseguite da Cesare Picchiarini per la Casina delle Civette di Villa Torlonia. Dal 1917 al 1927 è nominato direttore della Scuola di Ceramica presso i laboratori dell’Istituto San Michele di Roma. La sua prima mostra personale è del 1919, tenuta alla Bottega d’Arte Moderna, la galleria romana di Maria Monaci Gallega. Nello stesso anno realizza il Monumento ai Caduti di
Priverno e partecipa all’ Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino con alcune opere tra cui La pace e La Corazza. Nel 1920 illustra i Racconti della foresta e del mare e Le mitologie di N. Hawthorne, Le Favole di Trilussa, La siepe di smeraldo di E. Cozzani e lavora al Monumento ai Caduti di Terracina con il gruppo Le dolorose. Nel 1922 ottiene un gran successo con le scene e i costumi per Le Baccanti di Euripide e Edipo Re di Sofocle. Nel 1923 mette in scena I Sette a Tebe di Eschilo e Antigone di Sofocle al Teatro Greco di Siracusa. Nel 1926 illustra il grande volume I fioretti di San Francesco. Tra il 1926 e il 1927 soggiorna a lungo a Terracina dove disegna dal vero e prepara una serie di acquerelli sulla storia e i miti del Circeo. Nel 1928 espone alla XVI Biennale di Venezia l’allestimento scenico per il Teatro dell’Opera di Roma nella Mostra dell’Arte del Teatro curata da Margherita Sarfatti.
Nel 1930, per il matrimonio di Umberto di Savoia, disegna i raggruppamenti scenici del corteo storico snodatosi dall’Aventino al Quirinale ed è nominato Accademico di San Luca.
Nel 1931 è impegnato nel vastissimo lavoro per la decorazione e gli arredi del Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari. Nel 1934 lavora a La conquista della terra, un ciclo pittorico per una sala della prefettura di Latina e nello stesso anno decora con pitture murali le sale della nuova Prefettura di Ragusa. Nel 1948 allestisce a Siracusa l’Orestea di Eschilo. Negli anni tra il 1949 ed il 1959 conclude il ciclo di xilografie Leggende romane, composte da trentacinque grandi tavole in legno. Muore a Roma il 31 gennaio 1960.

DuilioCambellotti La Legnara, 1945 Matita su carta
Duilio Cambellotti La Legnara, 1945 Matita su carta Cm 41x116
Adolfo de Carolis, artista italiano del novecento

Adolfo De Carolis

Adolfo De Carolis

Adolfo de Carolis, artista italiano del novecentoAdolfo De Carolis nasce il 6 gennaio 1874 a Montefiore dell’Aso.

Comincia la propria formazione presso Fermo, per poi spostarsi presso l’Accademia di Belle Arti di  Bologna, allievo di Domenico Ferri. Negli anni ’90 si trasferisce a Roma, assistendo alle lezioni di Alessandro Morani.

Nel 1897 Adolfo De Carolis entra a far parte dell’Associazione In Arte Libertas, fondata dal pittore Nino Costa.

Adolfo De Carolis e l’Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia

Nel 1899 espone presso la III Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia, con delle opere influenzate dal linguaggio preraffaellita. Nel 1901 si trasferisce a Firenze dove insegna presso l’Accademia di Belle Arti, in questi anni inizia a frequentare lo scrittore Gabriele d’Annunzio, per il quale ,successivamente, illustra con delle xilografie i testi Francesca da Rimini e La figlia di Jorio.

Accanto alla produzione grafica, De Carolis si dedica, nei primi decenni del XX secolo, alla decorazione di alcuni tra i più importanti palazzi italiani, tra i quali ricordiamo quelli del Consiglio Provinciale di Ascoli Piceno e il Palazzo della Podestà di Bologna, e ,inoltre, sviluppa un interesse per le arti minori, concentrandosi principalmente all’attività tessile e ceramica, lavorando presso le ditte Richard – Ginori e Cantagalli

Nel primo dopoguerra Adolfo De Carolis si trasferisce a Roma, dove nel 1922 inizia a insegnare Scenografia e successivamente Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti, continuando parallelamente a lavorare per gli affreschi delle sale del Palazzo della Provincia ad Arezzo.

Nel 1925 collabora con Ubaldo Oppi alle storie di San Francesco presso la Basilica di Sant’Antonio a Padova.

Un anno prima della scomparsa Adolfo De Carolis vince il concorso per la decorazione della Basilica di S. Francesco a Ravenna, rimasta incompleta per il sopraggiungere della morte il 7 febbraio 1928.

 

 

Danilo Donati, artista italiano del novecento

Danilo Donati

Danilo Donati

Danilo Donati nasce a Roma il 6 Aprile 1926 a Luzzara.
Si forma sotto la guida di Ottone Rosai e in seguito studia all’Accademia di Belle Arti di Roma dove si diploma.

Nel 1954 inizia la sua carriera come costumista per gli spettacoli teatrali collaborando con i più importanti registi del momento.Nel 1959 si occupa di cinema, lavorando al film di Monicelli La Grande Guerra, un anno dopo comincia il sodalizio prima con Luigi Scaccianoce e in seguito con Pier Paolo Pasolini, per il quale realizza i costumi di scena di La ricotta, Edipo Re e infine per Il Vangelo secondo Matteo, opera che consente a Donati di ricevere la prima candidatura agli Oscar nel 1964.

Con l’amico Franco Zeffirelli, invece, lavora per una serie di film shakesperiani: La Bisbetica Domata nel 1967, e Romeo e Giulietta, pellicola che consente a Donati di vincere l’ambita statuetta nel 1969. Sempre nel ’69 viene chiamato da Fellini per la realizzazione dei costumi e della scenografia per il Satyricon, dove riesce a ricreare delle ambientazioni che lasciano pensare ad un mondo molto simile a quello dipinto da Hieronymus Bosch nel XV Secolo. Nel 1977 vince il secondo premio Oscar per il film Il Casanova, diretto sempre da Federico Fellini, nel quale Donati è in grado di ricostruire tutta l’opulenza della società veneziana nel ‘700.

Donati negli anni ’80 diminuisce sensibilmente la mole di lavoro nel cinema, specialmente dopo i problemi causati da Io, Caligola di Tinto Brass, girato nel 1979, ma distribuito solo nel 1984, e dopo la breve parentesi americana. Il tempo libero acquisito, dà modo a Donati di dedicarsi alla pittura e alla scrittura.

Nel 1994 viene chiamato da Roberto Benigni per lavorare nuovamente a due pellicole: Il mostro e La Vita è Bella. Nel 2001 sempre con il regista toscano si prodiga al suo ultimo lavoro cinematografico, il già citato La Vita Bella, e parallelamente è finalista del Premio Strega. Nello stesso anno muore a Roma.

 

Fabrizio Clerici, pittore e artista del novecento italiano

Fabrizio Clerici

Fabrizio Clerici

Fabrizio Clerici, pittore e artista del novecento italianoFabrizio Clerici nasce a Milano il 15 maggio 1913.
Proviene da un’agiata famiglia borghese, cattolica e conservatrice.
Nel 1920 si trasferisce a Roma, dove passa gran parte della sua infanzia e adolescenza; si laurea in architettura nel 1937. Conosce Alberto Savinio; nel 1938, a Milano, incontra Giorgio De Chirico con il quale si confronta sulle diverse tecniche pittoriche, in particolare la pittura a tempera.

Negli ultimi anni Trenta disegna soggetti fantastici, estrapolati dal mondo del sogno e della memoria.
Cessata la guerra, ritorna a Roma, frequenta artisti e letterati, tra i quali Elsa Morante e Alberto Moravia. Nuovamente a Milano, nel 1946, conosce il poeta Tristan Tzara; collabora insieme a Lucio Fontana per il progetto Patio per una casa al mare.
A Venezia conosce Salvador Dalì.

Fino alla fine degli anni Quaranta continua a disegnare e a incidere, prendendo come riferimento sia la Metafisica dei fratelli De Chirico che il Surrealismo di Dalì.
Dopo anni di preparazione, si dedica all’attività pittorica e, nel 1953, parte per il Medio Oriente, visitando l’Egitto, la Libia, la Siria, la Turchia. Nel 1955 espone a New York la gran parte dei disegni realizzati durante il viaggio in Oriente; sono opere visionarie, costruzioni utopiche che prendono il nome di I miraggi e I templi dell’uovo, nelle sue opere c’è anche il soggetto mitologico che si lega al fantastico, al sogno oppure all’assurdo come nel Recupero del cavallo di Troia.

Parallelamente alla pittura, si dedica alla scenografia teatrale e collabora con il regista Giorgio Strehler per la scenografia della commedia goldoniana La vedova scaltra.
Numerose sono gli allestimenti che realizza nei teatri di prosa e lirica; disegna i costumi per importanti registi come Igor Fyodorovich Stravinsky in Orpheus, presentato in prima europea al Gran Teatro La Fenice di Venezia nel 1948; per Didone ed Enea di Henry Purcell e per Il sacrificio di Lucrezia di Benjamin Britten, ambedue le opere realizzate nel 1949 per il Teatro dell’Opera di Roma con la regia di Alberto Lattuada.

Sperimenta diverse tecniche artistiche, lavora per due anni, fino al 1957, alla grande vetrata per la Basilica di San Domenico a Siena, in cui rappresenta La fede di Santa Caterina.
Negli anni Sessanta realizza le tavole per L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, le quali, nel corso del tempo, hanno subito alcune modifiche; nel 1968 è invitato dal Senato delle Arti e delle Scienze di Berlino per presentare alcune sue pitture e scenografie presso la Galerie des XX Jahrhunderts e alla Rathauses Tempelhof.
Tra gli anni Settanta e Ottanta lavora a diverse composizioni su tavola: nell’edizione del Milione di Marco Polo realizza tavole in bianco e in nero, alcune sono a colori, aggiungendo originali litografie, molte delle quali vengono esposte, nel 1971, presso la Galerie Brusberg ad Hannover; altre litografie, del 1977, illustrano il poema Le bestiaire di Guillaume Apollinaire.
Sono molteplici le mostre dedicate a Fabrizio Clerici, e non solo in Italia.
Nel 1983 a Ferrara a Palazzo dei Diamanti il catalogo sull’artista è presentato da Federico Zeri; dal 1988 al 1989 è allestita la grande antologica presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, mentre il Teatro La Scala di Milano gli rende omaggio esponendo i bozzetti e i figurini che l’artista ha realizzato per gli spettacoli del 1953 sino al 1963.
Nel 1994 viene istituito a Roma l’Archivio “Fabrizio Clerici”, curato da Giancarlo Renzetti.

Muore a Roma il 7 giugno 1993.

Corrado Cagli, artista pittore del novecento italiano

Corrado Cagli

Corrado Cagli

Corrado Cagli, artista pittore del novecento italianoCorrado Cagli, la vita e le opere

Corrado Cagli nasce ad Ancona il 23 febbraio 1910 da Alfredo e Ada Della Pergola. Cinque anni più tardi, si trasferisce insieme con la famiglia a Roma ove compie studi classici e frequenta l’Accademia di Belle Arti. Già nel 1925-1926, Cagli illustra le copertine e alcune pagine interne de “La Croce Rossa Italiana Giovanile”, rivista per le scuole primarie e secondarie italiane.

Nel 1927 realizza una tempera per il soffitto di un club in via Sistina, opera che in seguito verrà distrutta, mentre nella primavera dell’anno successivo esordisce con un lavoro di artigianato, un cofano “del focolare” alla XCIV Esposizio­ne di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti a Roma. Sempre nel 1928 realizza un murale a “tempera ma­gra” per il salone adibito a teatro del gruppo rionale Campo Marzio – Trevi – Colonna  del PNF, in via del Vantaggio a Roma.

Nel 1929, a Umbertide, inizia a lavorare nella fabbrica di ceramiche d’arte Rometti dove, l’anno dopo, sarà nominato direttore artistico.

Nello stesso anno, sempre ad Umbertide, nella casa Mavarelli-Reggiani, esegue un affresco di 60 metri sul tema della Battaglia del grano, suddi­viso in dodici riquadri che rivestono le quattro pareti della sala.

Nell’aprile del 1932 Corrado Cagli inaugura una personale con Adriana Pincherle alla Galleria di Roma, diretta da Pier Ma­ria Bardi, nella quale espone va­ri ritratti, studi, disegni, alcune ceramiche e la scultura Ritratto di Serena.

Successivamente fonda, as­sieme a Giuseppe Capogrossi ed Ema­nuele Cavalli, il Gruppo dei Nuovi Pit­tori Romani. Alla fine dell’anno ha già decorato alcune pareti alla Mostra romana dell’Edilizia ed eseguito Preparativi alla guerra (un affresco a tempera all’uovo di 30 metri qua­dri) nel vestibolo della V Triennale di Milano quando, su invito della Commis­sione Archeologica di Salerno, si reca a Paestum e visita, probabilmente, anche Napoli e Pompei.

Nel 1933 Corrado Cagli scrive l’articolo Muri ai pittori, fondamentale per la storia del muralismo italiano, in cui formula i suoi fondamenti teorico-estetici, sostenendo delle posizioni affini a quelle che Sironi andava esprimendo nello stesso periodo.

Corrado Cagli a Parigi

Nel dicembre 1933 Corrado Cagli si sposta Parigi dove espone insieme a Ca­pogrossi, Cavalli e Sclavi alla Galerie Jacques Bonjean. Organizzata dal conte Emmanuele Sarmiento, la mostra è presentata in cata­logo dal critico Waldemar George che raggruppa i quattro giovani artisti sot­to l’etichetta di Ecole de Rome.

Si apre nel febbraio del 1935 al Palazzo delle Esposizioni di Roma la II Quadrien­nale d’arte nazionale, ordinata da C.E. Oppo. Corrado Cagli espone quattro pannelli murali asportabili per la rotonda allestita da Piero Aschieri, i pannelli alti quasi 4 metri, raffigurano il tema della bonifi­ca dell’Agro Pontino. Gli viene assegnato un premio di 10.000 lire.

È incaricato della realizzazione di due dipinti murali per l’edificio di Castel De’Cesari (odierna Accademia Nazionale di Danza) di Roma, ristrutturato dal­l’architetto razionalista Gaetano Minnucci co­me sede dell’Opera Nazionale Balilla. Uno dei due murali raffigura La corsa dei barberi, rievocazione della celebre corsa dei cavalli bradi attraverso il Cor­so fino a Piazza del Popolo. Il ministro dell’Educazione Renato Ricci ordina la distruzione degli affre­schi, a seguito della censura per inadeguatezza tematica. Nascosto da una falsa parete, costruita dallo stesso Ca­gli, verrà preservato il dipinto murale situato nella biblioteca, portato allo scoperto nel 1945 su iniziativa di Mirko Basaldella.

Il 1935 è un anno importante per il giovane artista, poiché tra aprile e maggio tiene una prima per­sonale di cinquanta disegni alla Galle­ria La Cometa della Contessa Anna Laetitia (Mimi) Pecci Blunt, diretta da Libero De Libero e dallo stesso Cagli, inaugurata in quel­la occasione. La galleria svolgerà fino al 1938, in gran parte anche grazie all’influsso di Cagli, un’importante ope­ra di diffusione culturale di taglio an­tinovecentista. Il catalogo contiene uno scritto di Massimo Bontempelli, zio di Corrado Cagli, sul di­segno. Nel 1936 si inaugura al Palazzo del­l’Arte a Milano, la VI Triennale Inter­nazionale.

Cagli presenta sulla parete di fondo della sala delle Priorità Itali­che, realizzata dal gruppo BBPR, un grande dipinto, 6×6 metri, a tempera encaustica su tavola tamburata, La bat­taglia di San Martino e Solferino. Del grande murale, realizzato in pannelli distinti nello studio romano e poi mon­tato soltanto a Milano, non esistono cartoni o disegni d’insieme, ma sola­mente un bozzetto realizzato per la presentazione. Il 26 maggio 1937 viene inaugurata l’“Exposition Internationale des Arts et des Techniques” a Parigi. Cagli, aiutato da Afro Basaldella, suo collaboratore, realizza una serie di grandi di­pinti (circa 200 m lineari) a tempera encaustica su tavola tamburata per la decorazione del ve­stibolo del padiglione italiano. I di­pinti raffigurano immagini monumentali di Roma e ritratti dei grandi italia­ni dall’epoca romana al Risorgimento. Alla fine del 1938 è costretto a sceglie­re la strada dell’esilio, a seguito della proclamazione delle leggi razziali e dell’intensificarsi degli attacchi antisemiti nei confronti della sua persona e della sua opera. Si stabilisce prima a Parigi dove continua ad esporre e, alla fine dell’anno 1939, da Cherbourg, si imbarca alla volta di New York. Nella “grande mela” la sua arte non passa inossorvata ed espone qualche tempo dopo il suo arrivo alla rinomata Julien Levy Gallery. Nel 1941, nel mese di gennaio, tiene una personale al Civic Center Museum di San Francisco, ma due mesi dopo Cagli si arruola nell’esercito americano. Non cessa tuttavia la sua at­tività artistica, realizzando un cospi­cuo numero di dipinti e disegni e partecipando agli eventi espositivi come una personale alla Shaeffer Gallery di Los Angeles ed una personale di disegni al Wadsworth Atheneum di Hartford. Nel 1943 si trasferisce in Gran Bretagna al se­guito dell’esercito e l’anno successivo partecipa alle campagne di Francia, tra cui lo Sbarco in Normandia, Belgio e Germa­nia. In questi anni realizza il celebre ci­clo di disegni sul tema della guerra. Nel 1948 decide di rientrare definitivamente in Italia e si stabilisce in uno studio in via del Circo massimo. La stabilità e la tranquillità gli permettono di proseguire il suo percorso di ricerca analitica in pittura e di partecipare ad eventi espositivi sia in suolo italiano che estero. Intorno a lui gravitano numerosi artisti tra cui Mirko Basaldella, Capogrossi, Alberto Burri, Renato Guttuso. Tra la fine degli anni ’50 e gli inizi del ’60 viene incaricato, insieme ad altri artisti, di decorare la turbonave Leonardo da Vinci. Cagli darà il suo contributo allestendo alcune zone del transatlantico con i progetti di Leonardo da Vinci e con sei arazzi realizzati con il contributo dell’Arazzeria Scassa di Asti. Non lascia tuttavia l’attività di scenografo e costumista, partecipando a numerose rappresentazioni teatrali come: Tancredi di Rossini, del 1952; Macbeth di Bloch, del 1960; Estri di Petrassi, del 1968; Persephone di Stravinsky, del 1970; Agnese di Hohenstaufen di Spontini, del 1974; Missa Brevis di Stravinsky, del 1975. Muore a Roma, nella sua dimora all’Aventino, il 28 marzo 1976.

Felice Carena, pittore del '900 italiano

Felice Carena

Felice Carena

Felice Carena, pittore del '900 italianoNato a Cumiana il 13 agosto 1879, Felice Carena diventa allievo di Giacomo Grosso all’Accademia Albertina di Torino. I suoi primi interessi sono rivolti a lavori di ambito secessionista e simbolista; dopo la sua unica visita a Parigi durante gli anni dell’accademia resterà affascinato dalle opere di Courbet.
Dopo aver vinto il Pensionato artistico nazionale nel 1906 con il dipinto La Rivolta, si trasferisce a Roma e nel 1910 ha una sala personale alla mostra degli Amatori e Cultori.
Nel 1912 espone alla Biennale di Venezia, con opere che rivelavano la sua posizione in ambito di un verismo a sfondo simbolista. Di quegli anni sono significativi lavori dal taglio severo, fuori da ricerche d’avanguardia, ma tesi a una sintesi espressiva come il Ritratto della madre (1912). Nel 1913 è tra i membri della commissione ordinatrice della I Secessione romana.
Tra il 1913 e il 1915 subisce l’influenza della poetica di Matisse e Cézanne, che portano al rinnovamento del suo linguaggio pittorico. Verso il 1915 compone nature morte e figure, poi esposte a Roma nel 1916 nella Mostra degli amatori e cultori di Belle Arti in cui si alternano tratti a impasto mosso e una maggior fermezza di forma e di luce.
Nel periodo della prima guerra mondiale lavora poco e per i meriti sul campo è nominato ufficiale di artiglieria. In seguito si trasferisce ad Anticoli Corrado, ambiente fervido di incontri e assai importante per le sue scelte tematiche e formali.
Tra il 1922 e il 1924 organizza insieme allo scultore Attilio Selva una scuola d’arte presso gli Orti Sallustiani. Le lezioni sono frequentate, tra gli altri, da Emanuele Cavalli, Giuseppe Capogrossi e Fausto Pirandello.

Nel 1924 viene nominato docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze e vi insegna fino al 1945. A Firenze strinse amicizia con Ardengo Soffici e Libero Andreotti.
Al termine del secondo conflitto mondiale è costretto a ritirarsi dall’insegnamento. Lascia il convento toscano nel quale viveva solo, dopo la distruzione per bombardamento aereo della sua casa in Firenze, riprende la sua attività a Venezia, in Cannaregio, dove passò, operoso e appartato, l’ultimo ventennio della sua vita.
Intorno al 1940 la sua pittura presenta momenti più drammatici, fatta di luci contrastanti, tocca a volte accenti espressionistici. Lo stimolano la vicinanza delle opere del Tintoretto, ma anche i nuovi fermenti della cultura visiva contemporanea e le vicende dolenti della vita propria e altrui.
Nel 1945 si trasferì a Venezia dove lavorerà fino al 1966 anno della sua morte.

Giuseppe Carosi

Giuseppe Carosi

Nel 1896 Giuseppe Carosi ha esordito, appena tredicenne, all’Esposizione della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, con una serie di acquerelli rappresentanti paesaggi. All’Accademia di Belle Arti di Roma ha avuto come maestro [Dario Querci] che lo ha formato alla semplicità del tratto nel disegno e all’uso dei colori brillanti nella pittura. All’Istituto Raffaele Sanzio ha studiato sotto la guida di Roberto e di Augusto Bompiani e dello scultore Paolo Bartolini. Ha presentato, a una mostra della Società Amatori e Cultori di Roma, l’acquarello Ritratto del fratello, in cui ha espresso naturalezza, quasi verismo. Ha esposto nella sezione giovanile della Esposizione internazionale di Venezia.

Giuseppe Carosi sapeva rendere vivo il paesaggio con sapienti chiaroscuri, con armonica gamma di colori, sempre vivaci ed eleganti. Ha decorato uno dei padiglioni della Mostra Internazionale di Torino, del 1911. Nel 1912 ha dipinto il fregio decorativo con la Cavalcata di Fermo, per il palazzo dei conti Vitali Rosati, a Fermo. Ha inciso angoli e scorci della campagna romana, in particolare le torri del Lazio. Tre suoi dipinti furono acquistati da Vittorio Emanuele III: La nebulosa, La casta Susanna e Gli zampognari. Sue opere sono conservate alla Galleria Capitolina e alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma.

Ha esposto a Roma con la Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti e con l’Associazione degli Acquarellisti romani. Era presente alle mostre della Secessione Romana, alla XIV Mostra Internazionale di Venezia, a Biennali e a Quadriennali romane, all’Esposizione d’Arte Sacra a Padova, alla Mostra del Grigio-verde a Napoli, al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1960.

Aldo Carpi

Aldo Carpi

Aldo Carpi nasce a Milano il 6 ottobre 1886, quinto di sette figli, da Amilcare Carpi, un medico condotto, e da Giuseppina de’ Resmini. Suo nonno paterno era ebreo, e si era convertito al cristianesimo.

A dodici anni è spettatore e partecipe dei moti operai del 1898, degli arresti e delle repressioni di Bava Beccaris.

Il padre ha molti pazienti nel mondo degli artisti e per questo motivo Aldo, nel 1903, comincia a frequentare lo studio del pittore Stefano Bersani, mediatore di influenze impressioniste.

Entra all’Accademia di belle arti di Brera nel 1906 dove è allievo di Cesare Tallone e di Achille Cattaneo. È compagno di corso di Funi, Gola e Carrà. Collabora con disegni alla rivista Vita d’Arte.

La personalità dell’artista si forma a pari passo con il suo “essere religioso”. Importante, tra il 1911 e il 1913, è l’esperienza a Crevenna, presso Erba, accanto a don Brizio Casciola, che aveva allestito una “casa per bimbi difficili e giovani problematici” ovvero una colonia agricola organizzata per ospitare un gruppo di bambini e giovani orfani del terremoto calabro siciliano, insieme a situazioni giovanili bisognose d’aiuto e assistenza.

Nel 1912 esordisce alle mostre di Brera e della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente; nel 1914 è alla Biennale di Venezia, manifestazione a cui parteciperà quasi ininterrottamente (tranne le edizioni del 1940 e del 1950).

Arruolato nel 1915 nell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale sposa nel 1917 Maria Arpesani dalla quale ha sei figli: Fiorenzo, Giuseppe detto Pinin, Giovanna, Eugenio detto Cioni, Paolo e Piero.

Nel 1918 gli viene assegnata la Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione per i disegni sulla ritirata serba e, imbarcato sull’incrociatore San Marco, prende parte all’azione su Durazzo e agli sbarchi a Pola e a Fiume. Congedato, nel 1919 riprende la sua attività di pittore.

Negli anni venti fa parte, anche se in modo distaccato, del gruppo di Novecento.

Nel 1925 vince il Premio Principe Umberto e tra il 1928 e il 1930 esegue le vetrate per la basilica di San Simpliciano a Milano.

Nel 1930 vince il concorso per la cattedra di pittura all’Accademia di Brera, dove subentra all’Alciati e vi insegna fino al 1958.

Nel 1934 inizia a dedicarsi alle vetrate per il Duomo di Milano (lavoro che tuttavia porterà a compimento solo dopo la fine della seconda guerra mondiale). Nel 1937 guadagna la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi.

Nel gennaio 1944, un collega delatore rivela ai fascisti le origini ebraiche del pittore. Essi informano dunque le SS e Carpi viene arrestato e deportato a Mauthausen e poi a Gusen I: riesce a documentare la vita e la morte nel campo di concentramento con numerosi schizzi e con un personale diario.

Rientrato in Italia nel 1945 viene acclamato direttore dell’Accademia di Brera.

Nel 1946 realizza il complesso di affreschi nella chiesa di Santa Maria del Suffragio a Milano.

Nel 1947 fonda l’istituzione nominata “Opus Laus Mariae Braidensis”, finalizzata al sostegno economico di studenti artisti e modelli di Brera.

Nel 1948 viene nominato accademico dell’Accademia nazionale di San Luca di Roma e membro del Consiglio Superiore per le Belle Arti.

Nel 1949 diviene accademico nazionale dell’insigne Accademia nazionale Luigi Cherubini di Firenze.

Tra il 1953 e il 1954 si colloca la realizzazione delle vetrate per la cappella di Santa Teresa di Villa Clerici a Niguarda.

Gli viene assegnato il “premio Fila” nel 1955 e si tiene una sua importante personale al Circolo della Stampa di Milano.

Il comune di Milano nel 1956 gli conferisce la medaglia d’oro di cittadino benemerito. In occasione dei 50 anni di Carpi a Brera, viene allestita una mostra del ciclo dei Carabinieri. Festeggia questa ricorrenza insieme ad Achille Funi.

Nel 1958 l’Accademia per le Belle Arti di Brera gli assegna la medaglia d’oro per benemerenze di insegnamento. Carpi è costretto a lasciare l’Accademia per limiti di età nonostante i tentativi di prolungare la permanenza, come dimostrano alcuni documenti nell’archivio dell’artista.

Del 1964 è il viaggio in Terra santa che l’artista effettua a seguito del pontefice Paolo VI. nello stesso anno è allestita una mostra personale dell’artista presso la Galleria L’Approdo di Torino.

Tra il 1968 e il 1969 prepara e realizza sei grandi mosaici destinati alla Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, per celebrare la visita in Terra santa di papa Paolo VI.

Nel 1971 Garzanti pubblica, a venticinque anni di distanza dai fatti narrati nel testo, il Diario di Gusen, che in meno di un anno raggiunge la quarta edizione.

Nel 1972 i disegni di Gusen vengono esposti alla Galleria Gian Ferrari di Milano e poi alla San Vitale di Bologna. Il Comune di Milano gli conferisce la medaglia d’oro per meriti culturali e gli dedica una mostra antologica alla Rotonda della Besana, a cura di Mario De Micheli. Muore la moglie Maria.

Nella primavera del 1973, il 27 marzo, all’età di 86 anni, Aldo Carpi muore a Milano, nella sua abitazione. I suoi resti sono stati traslati nel Civico Mausoleo Garbin, ex edicola privata nel Cimitero Monumentale di Milano, dedicata agli artisti.

Dopo la morte la sua opera è stata oggetto di mostre tra le quali occorre ricordare la mostra “Aldo Carpi. Arte, vita, Resistenza” del 2015

Carlo Carrà

Carlo Carrà

Carlo Carrà nasce a Quargneto (Alessandria) l’11 febbraio 1881. Inizia giovanissimo l’attività di decoratore e nel 1906 si iscrive all’Accademia di Brera a Milano, studiando con Cesare Tallone. Le opere di questo periodo rivelano l’influenza del Divisionismo italiano combinato con la tradizione del Naturalismo lombardo del diciannovesimo secolo. Nel 1908 Carrà incontra Umberto Boccioni e Luigi Russolo con i quali, due anni dopo, firma il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista. Le radicali posizioni politiche e artistiche del pittore si riflettono nel monumentale dipinto I funerali dell’anarchico Galli, rielaborato stilisticamente dopo un viaggio a Parigi nell’autunno del 1911, quando l’artista si avvicina al Cubismo. Con Ardengo Soffici collabora alla rivista futurista “Lacerba”.Tornato a Parigi nel 1914, conosce Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso. In questo periodo inizia a sperimentare con il collage e le “parole in libertà” ed appoggia il movimento interventista nel suo libro Guerrapittura del 1915. Abbandonate molte delle premesse futuriste, nel 1916 Carrà esalta l’arte dei pittori italiani del ‘300 e del ‘400, nei saggi Parlata su Giotto e Paolo Uccello costruttore. Nel 1917 incontra Giorgio de Chirico a Ferrara adottandone le tecniche compositive e l’iconografia metafisica in una serie di interni e nature morte. Assieme a de Chirico e al fratello di questi, Alberto Savinio, collabora nel 1918 con la rivista “Valori Plastici” e, l’anno dopo, pubblica il suo libro Pittura metafisica, celebrando le proprietà trascendenti della forma pura e degli oggetti comuni.Le sue posizioni teoriche, basate sul “ritorno all’ordine” del dopoguerra, segnano la rottura con il classicismo di de Chirico. Dopo una breve fase legata al Realismo magico, alla metà degli anni ’20 Carrà sviluppa il suo stile maturo che nelle figure arcaicizzanti e nella pennelata, rievoca il naturalismo impressionista del diciannovesimo secolo. Partecipa alle due mostre del gruppo Novecento e nel 1933 è tra i firmatari del Manifesto della pittura murale. Nel 1941 gli viene assegnata la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera e nel 1945 pubblica l’autobiografia La mia vita. L’artista muore a Milano nel 1966.

Galileo Chini, pittore italiano del '900 (autoritratto)

Galileo Chini

Galileo Chini

Galileo Chini, pittore italiano del '900 (autoritratto)

Galileo Chini nacque a Firenze da Elio, sarto e suonatore dilettante di flicorno, e da Aristea Bastiani. Dopo la morte del padre, si iscrisse alla Scuola d’Arte di Santa Croce, a Firenze, dove frequentò i corsi di decorazione. Iniziò a lavorare nella fabbrica di prodotti chimici Pegna, successivamente fu apprendista decoratore nell’impresa di restauri dello zio paterno Dario (1847-1897). Proseguì nell’attività di apprendista fino al 1895 frequentando, oltre l’azienda dello zio, le botteghe di Amedeo Buontempo e Augusto Burchi, entrambi pittori attivi in quegli anni a Firenze.

Dal 1895 al 1897 frequentò saltuariamente la Scuola Libera di Nudo all’Accademia di Belle Arti di Firenze senza conseguire alcun diploma, e considerandosi sempre al culmine della sua formazione un autodidatta totale. In questo stesso periodo conobbe la giovane Elvira Pescetti che diventò sua moglie.

A Firenze nel 1896 fondò la manifattura “Arte della Ceramica” (poi rinominata Manifattura di Fontebuoni) insieme a Giovanni Vannuzzi, Giovanni Montelatici, Vittorio Giunti, Vincenzo Giustiniani e Giuseppe Gatti Casazza. Nel 1897 il Comune di San Miniato commissionò a Dario Chini il restauro degli affreschi della Sala del Consiglio Comunale (oggi denominata Sala delle Sette Virtù). Per la sopraggiunta morte di Dario Chini, l’incarico passò a Galileo che terminò i lavori entro il novembre del 1898.

Nella parte basamentaria delle pitture, Galileo si concesse maggiore libertà di esecuzione, inserendo il profilo di alcune figure nel finto marmorino. Nel luglio del 1898, mentre stava lavorando nel Municipio di San Miniato, Galileo fu chiamato a visionare alcune pitture rinvenute circa venti anni prima all’interno della chiesa di San Domenico. Compiendo ulteriori saggi nelle cappelle laterali, scoprì le pitture tre-quattrocentesche della Cappella Rimbotti, che fu incaricato di restaurare. Il lavoro nella chiesa domenicana si protrasse fino al 1900, dove nel frattempo gli fu affidato anche il restauro della Cappella del Rosaio e della Cappella Roffia-Del Campana. Laddove gli affreschi erano irrimediabilmente perduti, Galileo Chini non esitò a far rimuovere l’intonaco e a procedere successivamente a nuove decorazioni.

Nel 1899 sposò Elvira. La primogenita, Isotta, nacque nel 1900 e un secondo figlio, Eros, nel 1901.

Nel 1951 espose all’Esposizione Internazionale d’Arte Sacra a Roma, e l’anno successivo Firenze gli dedicò una retrospettiva. Espose ancora a Roma, per la Mostra d’Arte contemporanea, nel 1954 e a Bogotà, in Colombia, nel 1956. Galileo Chini morì il 23 agosto dello stesso anno nella sua casa-studio in via del Ghirlandaio 52, a Firenze. È sepolto nel cimitero monumentale dell’Antella.

Sempre apprezzata, nei decenni successivi, da una ristretta cerchia di estimatori (un suo appassionato collezionista è stato il regista Luchino Visconti), l’opera di Chini sta conoscendo in anni recenti una stagione di attenta rivalutazione, di cui testimonia in maniera significativa anche la mostra dedicatagli nel 2006 dalla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma.

Domenico Colao

Domenico Colao

Domenico Colao nasce a Monteleone Calabro (Vibo Valencia) il 21 ottobre 1881.
Proviene da una famiglia borghese, il cui padre, presidente del Tribunale, vorrebbe avviarlo alla carriera forense.

Domenico Colao inizialmente accontenta il desiderio paterno, studiando Giurisprudenza a Napoli per due anni, ma, alla fine, cede alle sue inclinazioni artistiche e si trasferisce a Firenze per studiare pittura all’Accademia di Belle Arti, affermando che tra un pessimo uomo di legge e un buon pittore, preferisce la seconda strada; diviene allievo del macchiaiolo Giovanni Fattori, la cui influenza è percepita nelle sue opere.

Nel 1908 è a Parigi, dove espone alcuni suoi lavori, tra cui alcuni pastelli che presentò nel 1914 a Fiuggi.
In Italia prende parte al gruppo Novecento, guidato da Margherita Sarfatti.

Domenico Colao partecipa alla storica prima Mostra del Novecento Italiano che si tiene al Palazzo della Permanente di Milano nel 1926.

Mentre alla Prima Mostra Regionale d’Arte a Roma del 1929 partecipa insieme ai futuristi Umberto Boccioni ed Enzo Benedetto.

Preferisce condurre un’esistenza solitaria, condivide come scelta artistica la poetica realista e nel 1925 espone alla Casa d’Arte Bragaglia, luogo prediletto dalla Scuola Romana.

Nel 1939 riceve il premio della Reale d’accademia d’Italia, poi confluita nell’Accademia dei Lincei.

La sua attività espositiva aumenta in luoghi sempre più qualificati, partecipando dal 1931 al 1938 alle personali di Milano e alla Pesaro; nel 1940 alla Gian Ferrari; ripetute sono le presenze di Colao alle Biennali di Venezia, dal 1926 al 1942; alle Quadriennali di Roma in tutte le edizioni dal 1931 al 1949, fino alle mostre sindacali laziali e fiorentine.
Muore a Roma il 14 dicembre 1943.

Primo Conti, artista (ritratto)

Primo Conti

Primo Conti

Primo Conti, artista (ritratto)

Già ad otto anni iniziò ad interessarsi di pittura, ed un suo autoritratto dipinto all’età di 11 anni ebbe un notevole riscontro tra i critici.

Nel 1913 compose l’opera musicale Romanza per violino e pianoforte ed ebbe un primo incontro con i futuristi fiorentini, dal quale scaturì in Conti un interessamento verso lo stile del movimento, che crebbe finché nel 1917, incontrato Giacomo Balla a Roma e Filippo Tommaso Marinetti a Napoli, lo indusse ad aderire al Movimento Futurista.

Al Futurismo darà il suo contributo fondamentale con i dipinti e i disegni eseguiti tra il 1917 e il 1919, anno in cui il suo stile si evolse verso una visione metafisica.

Nel 1930 sposò Munda Cripps, dalla quale ebbe due figlie; in questi anni le sue opere trassero ispirazione dalla vita familiare: Bambina e farfalla; Bambina con coniglio di gomma; Ritratto della moglie; Frutta dall’alto; Nudino.

Dal 1935 al 1939 collaborò al Maggio Musicale Fiorentino con scenografie, bozzetti e costumi; nel 1941 divenne titolare della cattedra di pittura dell’Accademia di belle arti di Firenze. Dal 1947 al 1957 fu presidente della Società delle Belle Arti e in tale veste favorì la sua fusione (29 ottobre 1957) con il Circolo degli artisti di Firenze – Casa di Dante, presieduto dall’avvocato Renato Zavataro che ne assunse poi la presidenza dal 1958 al 1960. Tra il 1948 e il 1963 attraversò una profonda vocazione mistica ed entrò a far parte dell’Ordine Francescano. Nel 1983 pubblicò la sua autobiografia dal titolo La gola del merlo.

Nel frattempo, nel 1980, aveva perfezionato, con la donazione della sua villa a Fiesole, della sua collezione di opere pittoriche e del suo archivio, la creazione di una Fondazione dedicata alle avanguardie storiche, che ancora oggi gestisce il Museo Primo Conti.

Antonio Corpora

Antonio Corpora

AntonioAntonio Corpora Corpora nasce a Tunisi il 15 agosto 1909 da famiglia di origini siciliane.All’età di 19 anni entra all’École des Beaux Arts di Tunisi, dove studia con Armand Vergeaud, allievo di Gustave Moreau. Si trasferisce a Firenze nel 1929 e frequenta le lezioni di Felice Carena, ma deluso dall’ambiente conservatore della città, si trasferisce a Parigi nel 1930, dopo una mostra personale a Palazzo Bardi.A Parigi subisce l’influsso delle grandi scuole post-impressioniste, cubiste e fauves. Tuttavia non vi si stabilisce definitivamente e continua a viaggiare: nel 1939 tiene una seconda personale in Italia e alla Galleria del Milone a Milano, trovandosi nell’ambiente frequentato da artisti quali Fontana, Reggianni e Soldati.I suoi viaggi si concludono nel 1945 quando si trasferisce definitivamente a Roma, in un primo periodo come ospite nello studio di Renato Guttuso. La sua idea di rinnovamento del linguaggio pittorico italiano lo porta assieme a Guttuso alla costituzione del Fronte Nuovo delle Arti, con il quale partecipa alla sua prima Biennale di Venezia nel ’48.Nel 1952 Corpora convince Lionello Venturi a scrivere un breve saggio di presentazione del Gruppo degli Otto per la Biennale di quello stesso anno. Alla Biennale Corpora vince il Premio della Giovane Pittura Italiana e alcune sue opere vengono acquistate dal Ministero della Pubblica Istruzione per la Galleria d’Arte Moderna di Roma.Gli anni a seguire saranno caratterizzati da un’intensa attività espositiva: sarà presente alla Biennale di Venezia anche negli anni ’56, ’60, ’66, e in diverse gallerie italiane; in ambito internazionale partecipa a Documenta I del 1955 e Documenta II del 1959, oltre a diverse mostre personali a Berlino, Parigi e New York.Nell’anno 2003, su designazione dell’Accademia Nazionale di San Luca, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferisce il Premio Nazionale “Presidente della Repubblica”.Muore nel 2004, a 95 anni, a Roma.

Antonio Corpora Vele
Ercole Dogliani, artista italiano del novecento

Ercole Dogliani

Ercole Dogliani

Ercole Dogliani, pittore italiano

Artista autodidatta. Fu dapprima fattorino e poi correttore di bozze presso il giornale torinese La Stampa, ma coltivava la sua passione per il disegno eseguendo poetiche vedute della sua città.

Con l’incoraggiamento di Leonardo Bistolfi approfondì in particolare la xilografia, di cui fu uno dei maestri nel genere del ritratto. Espose la prima volta agli Amici dell’Arte di Torino nel 1921, alla Promotrice delle Belle Arti e alla Pro-Cultura. Allestì una sola personale a Livorno nel 1927. Condivise lo studio con Marcello Boglione, insegnante di Incisione all’Accademia Albertina di Torino e con lui , nel 1928, realizzò tavole dedicate alla Vecchia Torino.

Tuttavia la sua produzione più efficace non rientra nell’ambito della veduta o del “quadretto” di genere: di grande potenza infatti sono le silografie di argomento “filosofico”, espressione di un’amara riflessione sul senso dell’esistere in una convinta esclusione di un Aldilà o anche di un’efficacia della sopravvivenza nella memoria dei posteri, secondo la considerazione classica e foscoliana. Particolarmente significative in tal senso silografie di ex libris propri o destinati all’amico Teresio Rovere, altro importante intellettuale dell’epoca , nelle quali protagonisti sono fra gli altri un teschio “laureato” nelle cui fauci è il firmamento – da sempre metafora dell’Infinito – e, sempre nel nero / nulla una rosa il cui stelo spinoso ha forma di punto interrogativo – il dubbio sul “post-mortem” – mentre una rocciosa montagna affonda nel nulla la vetta, con riferimento – rovesciato nei significati – alla Montagna come luogo dell’epifania del Divino. L’attenzione di personalità autorevoli come Teresio Grandi e Luigi Servolini, autore di un famoso manuale sulla silografia, ne attesta l’importanza nel panorama culturale della prima metà del Novecento (Francesco De Caria)

Una raccolta di sue opere è conservata presso la Biblioteca Civica di Castellamonte.

Ferruccio Ferrazzi, artista italiano del novecento

Ferruccio Ferrazzi

Ferruccio Ferrazzi

Ferruccio Ferrazzi, artista italiano del novecentoFerruccio Ferrazzi nasce a Roma il 15 marzo 1891.
Dal padre, pittore copista, impara i primi rudimenti del mestiere. Intorno al 1904 Ferruccio Ferrazzi inizia il suo apprendistato presso la bottega di Francesco Bergamini, l’anno seguente frequenta la scuola Libera del Nudo, e parallelamente, i corsi serali dell’Accademia di Francia.
Alla LXXVII Esposizione della Società degli amatori e cultori di belle arti di Roma del 1907, espone, giovanissimo, un Autoritratto, sconvolgendo l’ambiente artistico romano. L’anno successivo, grazie ad una borsa di studio vinta, viene affiancato al pittore Max Roeder, grazie al quale entra in contatto con la comunità tedesca romana, mentre nel 1910 espone alla Biennale di Venezia. Un grande successo arriva per Ferruccio Ferrazzi nel 1911 quando la Galleria Nazionale d’Arte Moderna acquista il dipinto Il Focolare, esposto precedentemente all’Esposizione Internazionale di Roma.

Nel 1914, invece, per la prima volta si reca oltre i confini nazionali, visitando Parigi; nella capitale francese ha modo di entrare in contatto con le nuove avanguardie che andavano creandosi Oltralpe. Sono questi gli anni, inoltre, dove Ferrazzi risente di più degli influssi della poetica futurista, dovuti anche alla visita alla II Esposizione di pittura futurista a Faenza. Tra il 1916 e il 1917 espone prima alla LXXXV Esposizione Società Amatori e Cultori di Belle Arti, dove gli viene data una sala personale, e poi alla Kunsthaus di Zurigo. Nel 1919, risentendo ancora degli echi futuristi, partecipa alla Grande Esposizione italiana futurista a Milano. Agli inizi degli anni 20 continuano le personali sul suolo italiano, nel 1925 viene nominato Accademico di San Luca, e nei primi mesi dell’anno successivo Ferrazzi è protagonista all’Exhibition of Modern Italian Art alla Grand Central Art Gallery di New York. Nel 1929 insegna decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma.

Gli anni 30 si aprono con la partecipazione come membro della giuria di accettazione della prima Quadriennale d’arte nazionale a Palazzo delle Esposizioni, nel 1933 è nominato Accademico d’Italia, nonostante non fosse in possesso della tessera del partito nazionale fascista. In quegli stessi anni Ferrazzi entra in contatto con i più giovani artisti della scuola romana , come Cagli, e con loro espone ad un collettiva di disegni in memoria di Scipione.

Nel 1938 è presente alla Biennale di Venezia sia come espositore, con due encausti, che come membro della giuria. Durante gli anni del secondo conflitto mondiale si dedica alle grandi pitture parietali per l’ateneo di Padova e per la recente chiesa costrutita nel quartiere dell’EUR a Roma di Santi Pietro e Paolo. L’ultimo ventennio della sua vita è scandito da continue partecipazioni a mostre nazionali e internazionali, e alla ripresa dell’attività come scultore.

Ferruccio Ferrazzi Muore a Roma l’8 dicembre 1978.

Fillia, Luigi Colombo, artista pittore italiano del novecento

Fillia

Fillia

Fillia, Luigi Colombo, artista pittore italiano del novecento

Artista futurista poliedrico nell’affrontare diverse problematiche artistiche, prese il suo pseudonimo dal cognome materno.

Forse nel presagio di una breve vita si muove in modo animato e attivo sul fronte delle avanguardie artistiche, soprattutto abbracciando in tutto lo spirito futurista.

Nel 1922 è coautore del libretto Poesia proletaria e nel 1923 costituisce a Torino i Sindacati Artistici Futuristi, promotori di una rivoluzione proletaria in chiave futurista. Nel 1928 organizza il Padiglione Futurista per l’Esposizione Internazionale di Torino.

La sua iniziale attività è legata fortemente alla parola, sia nel teatro che nella poesia, ma sfocia anche nella pittura, con uno stile legato inizialmente all’astrazione per poi giungere a una figurazione che viene definita cosmica.
Pubblica la rivista La terra dei vivi. Svolge anche attività critica e storica e fonda le pubblicazioni la Città Futurista nel 1929 e La Città Nuova nel 1931.
In quest’ultimo anno, cura la pubblicazione di un importante repertorio internazionale La Nuova Architettura e firma con Marinetti il Manifesto dell’arte sacra futurista. È stata recentemente messa in evidenza una serie di suoi lavori pittorici sull’arte sacra, tema classico della tradizione italiana, rivisitato in una sperimentale chiave spirituale-meccanica futurista. Nel 1931, sempre con Marinetti firma il Manifesto della cucina futurista ed espone alla prima Quadriennale di Roma.

Nel 1933, con Enrico Prampolini, esegue il grande mosaico futurista Le comunicazioni all’interno della torre del Palazzo delle Poste alla Spezia.
La sua opera Senza titolo, 1923, è conservata al Museo Cantonale d’Arte di Lugano.

Muore a Torino, città dove aveva quasi sempre vissuto ed operato, nel 1936, dopo una lunga malattia.

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Pietro Gaudenzi

Pietro Gaudenzi

Pietro Gaudenzi

Pietro GaudenziPietro Gaudenzi nasce il 18 gennaio 1880 a Genova, dal musicista di origini bergamasche Enrico Gaudenzi, e la genovese Rachele De Negri.

A La Spezia riceve la sua prima formazione artistica dal pittore Felice Del Santo, frequenta l’Accademia ligustica di belle arti di Genova, dove fu allievo di Cesare Viazzi. Il conseguimento del premio artistico Duchessa di Galliera gli consente di trasferirsi a Roma nel 1904, dove lo studio dei maestri del Rinascimento si coniuga all’interesse per i pittori gravitanti all’epoca intorno alla Capitale, tra cui Giulio Aristide Sartorio, Antonio Mancini, Armando Spadini, e Felice Carena, attingendo importanti stimoli per perfezionarsi.

Proprio a  Roma Gaudenzi conobbe la prima moglie Candida Toppi, nota modella di Anticoli Corrado, sposata nel 1909, i cui ritratti, insieme a quelli dei figli, costituiscono un nucleo importante del <em>corpus</em> del pittore.

Nel 1910 la vittoria della medaglia d’oro del ministero della Pubblica Istruzione costituisce il primo grande riconoscimento alla carriera del pittore, a cui fa seguito alla medaglia d’oro all’esposizione di Monaco di Baviera del 1913 e il premio Principe Umberto del 1915 per la Deposizione oggi alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.

Al di fuori dell’ambiente romano, viene nominato anche professore emerito delle accademie di Genova e di Parma. Lo stile di questo periodo, legato alla corrente del verismo, è destinato a una graduale trasformazione verso una resa più lirica quando  Gaudenzi, già vedovo, si trasferisce per un decennio a Milano nel corso degli anni Venti e per una parte dei Trenta, esponendo nel 1932 alla Biennale di Venezia e nel 1935 alla Quadriennale di Roma. Nello stesso anno, sposa la cognata, Augusta Toppi, dal cui matrimonio nacquero altri due figli, Iacopo e Maria Candida. Lascia Milano per trasferirsi ad Anticoli Corrado, dove fu tra i fondatori della locale Galleria d’Arte Moderna.

Proprio in riferimento ad Anticoli Corrado, alla sua atmosfera e alle sue celebri donne, allo stesso tempo modelle, lavoratrici, mogli e madri, Pietro Gaudenzi si cimenta in una straordinaria impresa di decorazione, costituita dagli affreschi nel Castello dei Cavalieri di Rodi del 1938, un ciclo purtroppo irrimediabilmente perduto,  ma di cui la <strong>Galleria del Laocoonte </strong>custodisce  i cartoni e i bozzetti preparatori, che si sono fortunatamente salvati, dedicandogli quattro grandi esposizioni.

La presenza alle principali rassegne italiane d’arte contemporanea, cui si aggiungono le personali presso la galleria Pesaro di Milano del 1921 e del 1931, nel palazzo ducale di Genova (1931), e il riconoscimento della cattedra di pittura all’Accademia di Napoli del 1935, con il premio Mussolini per le arti dell’anno seguente, testimoniano il suo prestigio e la sua posizione di rilievo nell’ambito del contesto artistico italiano, suggellata dalla nomina a membro delle Accademie dei Virtuosi al Pantheon, di S. Luca, di cui fu presidente dal 1937 al 1938. Nel 1940 ottenne la medaglia d’oro di benemerenza del ministero dell’Educazione nazionale.

Nel 1951 viene incaricato della direzione della Scuola vaticana di mosaico, avendo dedicato molta parte dei suoi ultimi anni a questa tecnica, realizzando mosaici per il duomo di Messina, per la cripta del Duomo di Ascoli Piceno, per le absidi della Regina Apostolorum e della chiesa del Collegio Americano di Roma, prima della morte avvenuta ad Anticoli Corrado il 23 dicembre 1955.

Vincenzo Gemito, Autoritratto, 1915. Olio su cuoio, cm 63,7x47,7. Firmato e datato in basso a destra

Vincenzo Gemito

Vincenzo Gemito

Vincenzo Gemito, Autoritratto, 1915. Olio su cuoio, cm 63,7x47,7. Firmato e datato in basso a destra

Vincenzo Gemito (Napoli, 16 luglio 1852 – Napoli, 1º marzo 1929) è stato uno scultore, disegnatore e orafo italiano. Autodidatta, in gran parte, e insofferente ai canoni accademici, Gemito si formò attingendo dai vicoli del centro storico di Napoli e dalle sculture del museo archeologico. La sua prolifica attività artistica, che lo portò all’apice del successo ai Salons di Parigi nel 1876-77, fu interrotta a causa di un’intima crisi intellettuale, per via della quale si segregò dal mondo per diciotto anni; riprese la vita pubblica solo nel 1909, per poi spegnersi venti anni dopo.

La produzione gemitiana comprende vigorosi disegni, figure in terracotta e un gran numero di sculture, tutte ritraenti con un’elevata intensità pittorica scene popolaresche napoletane; tra le sue opere principali si possono ricordare il Pescatorello, l’Acquaiolo (l’originale fuso in argento si trova presso il museo del Cenedese di Vittorio Veneto) , la statua di Carlo V sulla facciata del Palazzo Reale di Napoli, la Zingara e gli autoritratti.

La produzione di Gemito, frutto della sua formazione da autodidatta, si impone con accenti di schietto realismo, con uno stile che trascese dalle mode del momento. L’artista, infatti, si distinse in quanto autore di una scultura «palpitante», impreziosita da libere variazioni di piani e da vivide vibrazioni luminose.

I soggetti prediletti della produzione plastica e grafica di Gemito – che si sostanzia di numerose copie – furono, sin dagli esordi, gli scugnizzi; nelle sue opere, i monelli di strada napoletani sono caratterizzati da un’accentuata freschezza fisica, da un calore sensuale e sentimentale, e sono animati talvolta da un’energia sul punto di prorompere, talvolta da una profonda malinconia. I fanciulli del popolo di Gemito risentono inoltre dell’influenza esercitata dal modello ellenistico, con il quale l’artista lavorò assiduamente a confronto diretto nel museo Archeologico; con questi vagheggiamenti classici gli scugnizzi acquisiscono un carattere indefinito e atemporale, senza tuttavia ripetere meccanicamente e fiaccamente schemi già esauriti nell’antichità.

Per i disegni, che eseguì numerosi soprattutto agli scorci del Novecento, Gemito scelse come costante iconografica le popolane, le cosiddette zingare, ritraendole con una gestualità e vivacità quasi «pittorica» da sole, insieme a bambini, impegnate nelle diverse attività quotidiane (Maria la zingara, Nutrice, Carmela sono alcuni esempi di questa fase artistica gemitiana); eseguì anche diversi disegni familiari e autoritratti (notevole l’Autoritratto con Matilde Duffaud). In questi anni, insomma, Gemito confermò la propria conversione alla grafica, dove ebbe modo di abbandonarsi al proprio estro creativo, non essendo più condizionato dal vincolo progettuale; nei disegni padroneggiò sia la forma che la luce, resa con le tecniche più disparate, quali la matita, la penna, il pastello, e l’acquerello.

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Franco Gentilini, artista italiano del novecento

Franco Gentilini

Franco Gentilini

Franco Gentilini, artista italiano del novecento

Franco Gentilini, artista italiano del novecento

Franco Gentilini nasce a Faenza il 4 agosto del 1909 da Luigi, calzolaio, e dalla sua seconda moglie, Annunziata Cenni. Dopo aver frequentato le scuole elementari, inizia a lavorare come apprendista ebanista intagliatore. Tra il 1921 e il 1925 frequenta i quattro corsi serali della Scuola comunale «Tommaso Minardi» di disegno industriale e plastica per artigiani e contemporaneamente lavora come apprendista nella fabbrica di ceramiche Focaccia & Melandri, frequentando la Pinacoteca comunale e studiando la pittura antica.

Nel 1925 si reca a Bologna per incontrare Giovanni Romagnoli, titolare della cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti della città per mostrargli i suoi disegni. Incoraggiato a proseguire e introdotto da Romagnoli presso il critico d’arte Nino Bertocchi, già quello stesso anno partecipa alla Seconda Mostra del Risveglio Giovanile con alcuni lavori. Nel 1927, diviene aiutante del pittore Mario Ortolani come decoratore, presso il quale ammira numerose riproduzioni degli impressionisti, di Cézanne, e dei Cubisti.

Nel 1930 espone alla XVII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia dove sarà presente, in seguito, nel 1936, 1938, 1940, 1942 (14 opere), 1948, 1950, 1952 (9 opere), 1958 (sala personale), 1966 (sala personale) e nel 1968.

Nel 1932 si trasferisce definitivamente a Roma. Entra nell’ambiente letterario dello storico Caffè Aragno, dove conosce e frequenta artisti e letterati (Ungaretti, Cardarelli, Barilli, Mucci, Cecchi, Sinisgalli, Diemoz, Beccaria, Cagli, De Libero, Falqui), avviando con loro lunghe collaborazioni nell’illustrazione di loro testi e poesie.

Dal 1934 diviene illustratore di alcune riviste:i L’Italia Letteraria, Quadrivio, Il Selvaggio e dagli anni quaranta Primato, Documento, Domenica. Entra in contatto con il collezionista e mercante d’arte Carlo Cardazzo, delle Gallerie del Cavallino di Venezia e del Naviglio di Milano, che sarà tra i suoi principali promotori anche all’estero.

Gli anni Trenta sono anni di partecipazione a numerosi Premi (secodo posto al Premio Rubicone 1933; primo al Premio Rubicone 1934), a Biennali e Quadriennali.

Nel 1938 viene nominato insegnante titolare della cattedra di Ornato al Liceo Artistico di Firenze. Qui frequenta il caffè Giubbe Rosse e conosce Montale, Gatto, Luzi, Vallecchi, Landolfi e Bilenchi.

Durante la guerra e fino ai primi anni Cinquanta espone a Roma, Trieste, Milano, Napoli, Salisburgo, Vienna, Parigi, Monaco.

Negli anni Cinquanta ottiene premi e riconoscimenti pubblici: riceve il “Premio Vie Nuove” per la pittura, tiene una Personale a Parigi, alla Galerie Rive Gauche, presentato da Guido Piovene, dove espone, oltre ai dipinti, dieci disegni per La Metamorfosi di Franz Kafka.

Dal 1955 è titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma.

Negli anni Sessanta l’artista, dopo aver elaborato gli schizzi realizzati durante il mese di soggiorno a New York, organizza una mostra itinerante negli Stati Uniti.

Nel 1968 gli viene conferito il “Premio Presidente della Repubblica” dall’Accademia Nazionale di San Luca di Roma.

Nel 1976 gli viene assegnata, per meriti artistici, la Medaglia d’Oro della Pubblica Istruzione ed a Montecatini Terme, l’Accademia d’Arte Scalabrino gli conferisce il Premio “Vita d’Artista”; al Grand Palais con una sala personale alla FIAC di Parigi, inizia la sua presenza a questa manifestazione che si aggiunge alle personali alla Galleria Blumen di Lugano e alla Galleria La Colomba di Torino.

Nel 1977 seguono altre personali alla Galleria Santacroce di Firenze, alla Galleria Toninelli di Roma e Milano (trasferita nel 1978 alla Galleria Forni di Bologna) e al Palazzo Ettore di Sacile; a Bruxelles viene eletto Socio dell’Accademia Reale delle Scienze Lettere e Belle Arti del Belgio.

Alla mostra “San Paolo nell’arte contemporanea”, allestita al Braccio di Carlo Magno nella Città del Vaticano, espone il dipinto S. Paolo fugge da Damasco, 1977, commissionatogli dalle Gallerie Vaticane in occasione degli ottant’anni di Paolo VI.

La sua attività continua fino al 1981, quando muore il 5 aprile dopo una brevissima malattia.

Vittorio Grassi

Vittorio Grassi

Vittorio Grassi

Indirizzato dal padre Giovanni Battista, inizia a lavorare presso l’Officina Carte Valori della Banca d’Italia, dove apprende l’arte della stampa e inventa un sistema infalsificabile di stampa policroma per le carte valori. Nel 1902 dà sfogo alla sua natura di artista esponendo alcuni suoi dipinti alla galleria Galassi Paluzzi di Perugia e l’anno seguente al Palazzo delle Esposizioni in una mostra organizzata dal circolo della Società di Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma. Nel 1904 si lega a Duilio Cambellotti, Giacomo Balla e Giovanni Prini e si avvicina al gruppo dei XXV della Campagna Romana. Nel 1906 ha una sala personale alla LXXVI Esposizione degli Amatori e Cultori. Nel 1908 partecipa, insieme a Cambellotti, Bottazzi, Marcucci e Menasci, alla fondazione della rivista «La Casa». Nel 1911 partecipa alla Mostra della Topografia Romana Antica, allestita nelle sale di Castel Sant’Angelo, presentando un quadro raffigurante un grande panorama della città medievale. Nello stesso anno, in occasione della celebrazione romana del Cinquantenario dell’Unità d’Italia e di Roma Capitale, realizza alcuni pannelli in ceramica per il villino La Casa che si trovava in Lungotevere delle Armi. Nel 1912 allestisce il Macbeth al Teatro Costanzi di Roma e partecipa alla Prima Mostra della Vetrata Artistica, dove vengono esposte quattro vetrate da lui disegnate. Nello stesso anno disegna per la Richard-Ginori alcuni vasi in ceramica con decorazioni naturalistiche di rane e serpenti che vengono presentati alla Biennale di Venezia. Nel 1913 e per i due anni successivi partecipa alla Mostra della Secessione Romana. Sempre in questi anni riordina la Galleria d’Arte Moderna di Roma. Ancora nel 1913 ottiene la cattedra di ornato, incisione e scenografia all’Accademia di belle arti di Roma.

Nel 1915 allestisce il padiglione italiano alla Mostra Internazionale di San Francisco. Nel 1921 è chiamato ad illustrare per l’Istituto d’Arti Grafiche di Bergamo il volume «Vita Nova» di Dante Alighieri. Nel 1923, insieme a Giovanni Prini, allestisce la sala della Musica alla Mostra Internazionale d’Arte Decorativa di Monza e nel 1925, alla stessa manifestazione, realizza la decorazione della Sala degli abitatori della Campagna Romana. Nel 1937 è direttore artistico e capo della sezione illustrativa dell’Enciclopedia Treccani.
Muore a Roma nel 1958.

Giovanni Guerrini

Giovanni Guerrini

Giovanni GuerriniGiovanni Guerrini nasce a Imola nel 1887.
A Faenza fa parte del “cenacolo baccariniano” – assieme agli amici Domenico Rambelli, Ercole Drei e Giuseppe Ugonia – e presso la locale Scuola di Disegno riceve una educazione politecnica che, nel tempo, saprà dispiegare in vari campi espressivi : sarà, infatti, pittore, litografo, cartellonista, progettista di oggetti e di arredi, allestitore e architetto. Nel 1912 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia dove sarà presente anche nel 1914 e, ininterrottamente, dal 1920 al 1936. Nel 1915 si trasferisce a Ravenna come insegnante di Ornamentazione e Disegno Architettonico all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, dove ottiene, nel 1926, l’istituzione della “Scuola del Mosaico” di cui sarà direttore a partire dal 1961. Nel 1925 vince il concorso per il manifesto della II Mostra Internazionale delle Arti Decorative di Monza. Nel 1926 è invitato a partecipare alla prima Mostra del Novecento Italiano.
Nel 1927 è a Roma come direttore artistico dell’ENAPI e nella capitale rimarrà, salvo periodici ritorni nella casa di campagna di Faenza, per tutta la vita. Negli anni Venti e Trenta si infittiscono le sue partecipazioni a importanti mostre. A Roma, continua l’attività pittorica ma si dedica soprattutto a progettare oggetti ed elementi di arredo in vari materiali per l’Ente di cui, come allestitore, cura anche le presenze alle più importanti occasioni espositive italiane ed estere (Torino 1928, Triennale di Milano 1933 e 1936, Barcellona e Lipsia 1929, Atene 1931, Parigi e Bruxelles 1935, Firenze 1938, New York 1939).
Nel 1938 vince, con M. Romano e E. Bruno La Padula il concorso per il Palazzo della Civiltà Italiana all’E42 che costituisce l’apice della sua carriera architettonica. Nel 1939 realizza sei grandi riquadri a mosaico per le fontane del Palazzo degli Uffici all’E42 e nel 1941 vince, con A. Capizzano, F. Gentilini e G. Quaroni, il concorso per i mosaici da collocare nel Palazzo dei Congressi, sempre all’E42. Nel dopoguerra continua le sue attività legate all’artigianato italiano con conferenze e allestimenti (Lille 1951, Roma 1953, Parigi 1956 e Monaco di Baviera 1957).
Muore a Roma nel 1972.

Renato Guttuso, artista del novecento italiano

Renato Guttuso

Renato Guttuso

Renato Guttuso, artista del novecento italianoRenato Guttuso nasce a Bagheria il 26 dicembre 1911.

Esordisce nel mondo dell’arte, giovanissimo, esponendo alla sua prima mostra collettiva nel 1928 nella vicina Palermo.
Successivamente si trasferisce a Roma, dove entra in contatto con le più importanti personalità artistiche del momento, quali: Corrado Cagli, Mirko e Afro Basaldella e Mario Mafai. Sempre nella capitale, nel 1931, partecipa con due quadri alla Quadriennale Nazione d’Arte Italiana.

Nel 1935 deve abbandonare Roma e spostarsi a Milano per il servizio militare, dove incontra Manzù, Sassu, condividendo, inoltre, lo studio con Lucio Fontana. Sempre nel capoluogo lombardo partecipa a una mostra presso la galleria del Milione con il “Gruppo dei 4”.
Il richiamo di Roma, però, per Guttuso è troppo forte, e così nel ’37 vi si trasferisce stabilmente, stringendo amicizia con lo scrittore Alberto Moravia. Questi sono a anche gli anni dell’iscrizione al Partito Comunista (1940), e della sua prima personale nell’ Urbe. In questo periodo le tematiche dei suoi dipinti sono drammatiche, gli echi della guerra si fanno sentire nelle sue opere, come La Fucilazione in campagna, dedicata al poeta spagnolo Federico Garcia Lorca, e come nella famosa Crocifissione.

Nel 1943 abbandona Roma, a causa delle sue idee politiche, e si unisce alla resistenza; dall’esperienza della guerra trova l’ispirazione per la serie di inchiostri intitolati Gott mit Uns, successivamente si reca a Parigi dove inizia l’amicizia, che continuerà per tutta la vita, con Pablo Picasso.

Nel dopoguerra si stabilisce nello studio di Villa Massimo, i temi delle opere di Guttuso sono quelli sociali e della vita della gente più umile. Gli anni ‘50 si aprono con la prima mostra personale a Londra, e con la curatela delle scenografie e dei costumi per la prima teatrale in Italia di un’opera di Bertolt Brecht; continua poi ad esporre a tutte le Biennali di Venezia.
Il decennio successivo è caratterizzato dalle importanti esposizioni in giro per il mondo, da New York ad Amsterdam, fino alla retrospettiva che dedicatagli dal Museo Puskin di Mosca; La Discussione, quadro del 1960, viene acquistata dalle Tate Gallery di Londra.
A Palermo gli viene prima conferita la Laurea Honoris Causa, e successivamente, nel 1971 dedicata un’antologica nella prestigiosa sede di Palazzo dei Normanni.

Guttuso viene anche eletto Senatore tra le fila del Partito Comunista Italiano, e come gesto di amore nei confronti della sua città natale dona una serie di opere che vanno a costituire l’inizio della collezione della Galleria Civica di Bagheria.
Gli ultimi anni della sua vita continuano con importanti esposizioni e mostre per tutto il mondo. Crispolti pubblica i primi tomi del Catalogo Generale dei Dipinti nel 1983.

Muore il 18 gennaio 1987, lasciando in eredità alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma alcune delle sue più importanti opere.

Achille Funi artista italiano del novecento

Achille Funi

Achille Funi

Achille Funi artista italiano del novecento

Achille Virgilio Socrate Funi nasce a Ferrara il 26 febbraio 1890. Nella città natale compie i primi studi di disegno, decorazione e modellazione alla Scuola d’arte «Dosso Dossi». Nel 1906 si trasferisce a Milano dove segue fino al 1910 i corsi di Pittura di Figura all’Accademia di Brera con Cesare Tallone.

Nel 1914 aderisce al movimento futurista “preso dal bisogno di ritrovare quei valori plastici e ritmici che la pittura dell’ultimo ottocento aveva del tutto perduti”.
Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola con il battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti al fianco di Boccioni.
Gli anni del dopoguerra sono decisivi per la sua evoluzione artistica: dopo aver tenuto presso la Galleria Arte di Milano la prima mostra personale nel 1920 e avvicinatosi a Margherita Sarfatti, aderisce al richiamo del “ritorno all’ordine”, recuperando l’eredità pittorica del Rinascimento italiano. Nel 1922 è tra i fondatori del gruppo dei Sette Pittori di Novecento, e nel 1930 partecipa come esponente della Scuola di Milano alla I Quadriennale romana del 1931. Nel 1933 sottoscrive con Mario Sironi ed altri artisti il Manifesto della pittura murale.

Partecipa alle Esposizioni futuriste, alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma, nonché all’Internazionale dell’Avanguardia Moderna a Ginevra e in seguito alle più importanti mostre italiane ed estere. Dal 1939 al 1960 è stato titolare della Cattedra d’Affresco all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove suoi allievi sono stati Giuseppe Ajmone, Valerio Pilon, Oreste Carpi. Alla sua carriera di insegnamento aggiungerà una breve parentesi all’Accademia Carrara di Bergamo, con una cattedra in pittura nel 1945 e diventandone successivamente direttore dopo Luigi Brignoli.

Muore ad Appiano Gentile il 26 luglio 1972.

Camillo Innocenti

Camillo Innocenti

Figlio dell’architetto Augusto Innocenti, dopo aver conseguito la maturità classica si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Roma e si dedicò alla pittura. Nei primi lavori è visibile l’influenza di pittori italiani della seconda metà del XIX secolo (Morelli, Michetti e soprattutto Antonio Mancini). Compì numerosi viaggi di studio all’estero (per es., Paesi Bassi, Germania, Inghilterra; in particolare debbono essere ricordati un viaggio in Spagna nel 1901 e un soggiorno a Parigi dal 1901 al 1903). Tornato in Italia, fece esperienze divisioniste e successivamente entrò nel gruppo dei XXV della campagna romana, dipingendo soprattutto paesaggi abruzzesi e sardi. Divenne Accademia nazionale di San Luca e fece parte del consiglio direttivo delle mostre della Secessione Romana. Nel primo dopoguerra lavorò come scenografo per il Cinema. Nel 1925 diresse la Scuola di Belle Arti del Cairo. Ritornò dall’Egitto in Italia allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Ormai dimenticato dal pubblico e dai critici, non riuscì più a reinserirsi nell’ambiente artistico e morì in povertà.

Nel 1965, gli viene dedicata una retrospettiva nell’ambito della IX Quadriennale di Roma.

Sue opere si trovano a Roma (Galleria Nazionale d’Arte Moderna; Galleria comunale d’Arte moderna; Galleria Nazionale dell’Accademia di San Luca), negli Abruzzi, ad Ascoli Piceno (Pinacoteca Civica); a Palermo (Galleria d’Arte Moderna); a Udine; a Piacenza (Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi); a Cagliari (Galleria comunale d’arte di Cagliari).

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Leoncillo Leonardi, artista e scultore italiano del novecento

Leoncillo Leonardi

Leoncillo Leonardi

Leoncillo Leonardi, artista e scultore italiano del novecentoLeoncillo Leonardi nasce a Spoleto il 18 novembre 1915.
Il nonno paterno era liutaio, quello materno ebanista; questo esempio di attitudine quotidiana al lavoro artigiano certamente influì sulla sua formazione. Nel 1926 si iscrisse all’istituto tecnico G. Spagna, dove un tempo aveva insegnato il padre. A seguito di una bocciatura scolastica trascorse appartato alcuni mesi, durante i quali cominciò a modellare la creta: gli esiti incoraggianti e i primi rudimenti impartitigli dallo scultore calabrese Domenico Umberto Diano lo spinsero a iscriversi, nel 1931, all’istituto d’arte di Perugia, che frequentò fino al 1935. Quell’anno raggiunse a Roma il fratello maggiore Lionello, il quale, allontanato dalle scuole pubbliche in quanto antifascista, insegnava lettere presso un istituto religioso, il collegio S. Maria. Risalgono a questi anni giovanili i primi disegni noti dell’artista.
Nel 1936 entrò in contatto con la galleria La Cometa, diretta dal poeta Libero De Libero, amico del fratello Lionello, e luogo di incontro degli artisti più giovani e meno compromessi con l’arte di regime: Mario Mafai e Antonietta Raphael, Corrado Cagli, Mirko e Afro Basaldella, Pericle Fazzini, Marino Mazzacurati. Trasse profonda ispirazione dal contatto con quella che fu definita la scuola romana; ma per alcuni anni operò isolato nel suo studio.
Nel 1939 lasciò Roma, trasferendosi a Umbertide, in Umbria, dove il 9 luglio sposò Maria Zampa, sua compagna all’istituto d’arte, dalla quale ebbe due figli: Daniella e Leonetto. A Umbertide entrò in contatto con la fabbrica di ceramiche di proprietà di Settimio Rometti, che era stata guidata alcuni anni prima da Cagli. Qui perfezionò le sue conoscenze tecniche sui materiali ceramici e sulle cotture e stabilì un rapporto di scambio con Rometti, ceramista a sua volta, presso i cui forni diede luogo a una produzione di sculture di dimensioni notevoli.
Nel 1940, su invito di Giò Ponti, partecipò alla VII Triennale di Milano, dividendo la sala con Salvatore Fancello e aggiudicandosi la medaglia d’oro per le arti applicate. Nel 1942, separandosi dai familiari fece ritorno a Roma, dove fu incaricato della docenza di plastica e ceramica all’Istituto Statale d’arte (insegnamento che tenne sino al 1952, avendo tra i colleghi Afro, Ettore Colla, Fazzini). Nell’estate dell’anno successivo presentò la serie dei Mostri nell’ambito di un’esposizione collettiva di giovani artisti (tra i quali Scialoja, Purificato, Turcato e Vedova) presso la galleria La Cometa di Roma, ricevendo critiche lusinghiere.
Convinto antifascista si avvicinò dapprima alle organizzazioni partigiane romane, poi si affiliò alla brigata “Innamorati”, attiva in Umbria. Furono questi anni importanti per l’artista e di profonda riflessione: aderendo al Partito comunista italiano, nell’Italia lacerata dalla guerra, fu coinvolto profondamente nella problematica del realismo in arte. Dal dicembre 1944 avviò una collaborazione, durata alcuni mesi, con il periodico romano «La Settimana», che ospitò suoi disegni e soprattutto alcuni ritratti di intellettuali.
Dopo aver sottoscritto a Venezia nel 1946 il manifesto della Nuova Secessione artistica italiana, divenuto l’anno seguente Fronte nuovo delle arti, l’attività artistica di Leoncillo fu correlata per alcuni anni alle vicende del gruppo, con il quale, sostenuto da Giuseppe Marchiori, egli espose alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1950.
I primi anni Cinquanta furono estremamente operosi e prodighi di riconoscimenti. Nel 1951 vinse il primo premio per una scultura da giardino alla II Mostra nazionale della ceramica; nel 1953 ottenne il premio acquisto alla I Mostra d’arte di Spoleto, per molti anni presieduta dal fratello Lionello, e nel 1954 vinse il primo premio al XII Concorso nazionale della ceramica di Faenza.
Nel marzo 1957 si tenne una personale alla galleria La Tartaruga di Roma; in catalogo l’artista stesso dichiarava conclusa la propria esperienza nell’ambito del realismo di ispirazione socialista.
Sempre nel 1957 concluse un pannello decorativo sul tema del lavoro per l’atrio della sede dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale a Ferrara; a Roma, invece, eseguì una fontana per un complesso abitativo INA Casa a S. Lucia.
Intrapresa la strada dell’arte non figurativa, in seguito condusse una vita dedita alla ricerca e alla sperimentazione. Nel 1959 partecipò alla VIII Quadriennale di Roma, nell’ambito della retrospettiva sulla scuola romana, quello stesso anno vinse il primo premio alla II Mostra nazionale della ceramica e dei lavori in metallo di Gubbio.
Nel 1968, presente con una sala personale alla Biennale di Venezia, in cui aveva allestito opere dell’ultimo decennio, velò le sue sculture con dei teli di plastica in segno di adesione alle proteste dei giovani artisti.
Morì a Roma il 3 settembre 1968.

Mino Maccari (autoritratto), artista italiano del novecento

Mino Maccari

Mino Maccari

Mino Maccari (autoritratto), artista italiano del novecentoMino Maccari nasce a Siena il 26 novembre 1898.

Proviene da una piccola famiglia borghese, partecipa come ufficiale di artiglieria di Campagna alla Grande Guerra e, tornato a Siena, studia Giurisprudenza, laureandosi nel 1920. La sua vera passione non sono gli studi giuridici, bensì il disegno e la pittura: nel 1924 cura la stampa per la rivista “Il Selvaggio”, in cui vengono pubblicate le sue prime incisioni e, dopo aver lasciato nel ’26 la carriera forense, è nominato Direttore del periodico che segue sino al 1942. In questi suoi primi anni di attività, in cui il quotidiano si era aperto alla critica artistica – letteraria, collabora con Ardengo Soffici, Ottone Rosai e Achille Lega.
Dal 1927 al 1930 Mino Maccari espone in diverse mostre nazionali e si trasferisce a Torino, dove è nominato caporedattore del giornale “La Stampa”.

Lavora molto nel settore editoriale e partecipa a testate come “Quadrivio”; “Italia letteraria”;
“L’italiano”; “Omnibus” di Leo Longanesi e, successivamente, scrive su il “Primato” di Giuseppe Bottai.

Amplia è la sua produzione di disegnatore: nel 1925 pubblica l’Album di Vallecchi, nel ’28 Il trastullo di Strapaese; nel 1931 realizza Linoleum.

Mino Maccari, nel 1934, illustra La vecchia del Bal Bullier di Antonio Baldini e nel 1942 pubblica la cartella Album, seguono Come quando fuori piove e Il superfluo illustrato.

La grafica di Mino Maccari è rivolta principalmente alla satira sociale e politica che sembra richiamare indirettamente le opere di James Ensor e George Grosz; mentre, in pittura, pur non discostandosi in maniera eccessiva dalle tematiche dei suoi disegni, accentua maggiormente l’aspetto fantastico, ma le rapide pennellate e le cromie dei suoi dipinti sono unite sempre dal suo segno grafico.

Dopo la Seconda guerra mondiale partecipa a numerose esposizioni e mostre personali: nel 1948 alla Biennale di Venezia gli viene assegnato il premio internazionale per l’incisione; nel 1962 gli è affidata la presidenza all’Accademia dei Lincei e l’anno successivo espone alla Gallery 63 di New York.
Partecipa, inoltre, a svariate esposizioni internazionali di grafica.

Nel 1977 presso il Palazzo Pubblico di Siena, la sua città natale, gli viene dedicata una mostra personale.

Maccari muore a Roma il 16 giugno 1989.

Antonio Mancini

Antonio Mancini

Antonio Mancini nasce a Roma il 14 novembre del 1852.
Nel 1865, dopo un periodo vissuto in Umbria, si trasferisce con la famiglia a Napoli.
Si iscrive, giovanissimo, all’Accademia di Belle Arti della città partenopea, nella quale ha anche modo di entrare in contatto, nelle pinacoteche e nelle chiese, con le opere dei maggiori maestri del passato, come Caravaggio o Ribera.

Inizia, negli stessi anni, l’apprendistato presso la bottega di Stanislao Lista, dove conosce e stringe amicizia con Vincenzo Gemito.
Nel 1872, a venti anni, parte alla volta di Venezia, grazie all’aiuto di Albert Cahen, dove può studiare la pittura veneta, e successivamente visita Milano, per l’Esposizione nazionale di Belle Arti, nella quale espone due piccole opere.

Nel 1874 avviene l’importantissimo incontro, con il pittore spagnolo Fortuny, il quale viene considerato un mentore dal pittore, e il cui rapporto è interrotto solo dalla prematura morte dell’iberico a Roma.
Questa prima fase della carriera è segnata dalla presenza costante nelle opere del pittore delle persone comuni che aveva la possibilità di incontrare camminando per Napoli, e che posavano per Mancini nello studio condiviso con l’amico Gemito.

Nel 1875 Antonio Mancini risiede per alcuni mesi a Parigi, dove frequenta il nutrito gruppo di italiani presenti; nella capitale francese stipula un contratto, che dava facoltà al pittore di risiedere e inviare le opere da Napoli, con il più importante mercante d’arte Adolphe Goupil.
Un nuovo soggiorno, insieme a Gemito, a Parigi avviene nel 1878; qui i rapporti tra i due pittori si guastano per motivi economici, e così Mancini decide di tornare a Napoli.

Nel 1883 si trasferisce definitivamente a Roma a seguito, di una degenza in un ospedale psichiatrico. Nel 1887 è di nuovo a Venezia per l’Esposizione Nazionale.

Nel 1894 riceve l’importante commissione del ritratto della madre di Maffeo Pantaleoni, che ammalia gli spettatori all’Esposizione universale di Parigi, e che viene premiato.
Dopo questo grande traguardo, Antonio Mancini si reca nel 1901 a Londra, dove riceve le commissioni delle più importanti famiglie inglesi, e successivamente espone alla Royal Accademy.
Con l’inizio del nuovo secolo si susseguono le partecipazioni a mostre in tutto il mondo: nei Paesi Bassi, a Düsseldorf (1904) e Monaco di Baviera nel 1905.

Nel 1908 a Roma firma un contratto con Otto Messinger, grazie al quale viaggia per la Germania meridionale, conoscendo il pittore simbolista Fran von Stuck.
Successivamente si lega al mercante francese Ferdinand du Chene du Vere, con il quale risiede nella villa di Frascati, dove ha tutto il necessario per condurre una prolifica attività pittorica.
Alla Biennale di Venezia del 1920 a Mancini è concessa una personale, e tutte le opere presenti vengono comprate da facoltosi acquirenti.

L’ultimo decennio della sua via prosegue tranquillo tra riconoscimenti accademici e mostre internazionali; viene nominato cittadino onorario di Napoli nel 1923.

Antonio Mancini muore a Roma il 28 dicembre 1930.

Marino Marini

Marino Marini

Marino Marini nasce a Pistoia il 27 febbraio 1901.  A 16 anni, si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, frequentando i corsi di pittura di Galileo Chini e quelli di scultura tenuti da Domenico Trentacoste. Nel 1919 si reca per la prima volta a Parigi dove entra in contatto con le nuove tendenze del mondo dell’arte.

Tornato in Italia comincia a praticare la pittura e l’incisione, legandosi alla tradizione figurativa di fine Ottocento e in particolare all’opera di Medardo Rosso. In alcuni lavori dei suoi inizi emerge l’influenza degli artisti del primo Rinascimento, in particolare Piero della Francesca.

Dal 1922 decide di dedicarsi alla scultura e comincia a partecipare a numerose esposizioni che decreteranno la sua fama. Nel 1926 apre uno studio a Firenze, ma nel 1929 si trasferisce a Milano, chiamato da Arturo Martini ad occupare la cattedra di scultura presso la scuola d’arte di ISIA nella Villa Reale di Monza, (che manterrà fino al 1940). Sempre del 1929 è la prima importante scultura, Popolo, in terracotta, con la quale Marino si rivela al pubblico e alla critica.

Nei primi anni trenta visita ancora Parigi. Nel 1932  espone sia a Milano che a Roma e diventa membro onorario dell’Accademia di belle arti di Firenze.

Il 14 dicembre 1938 sposa Mercedes Pedrazzini, che da allora chiamerà Marina, sottolineando l’intenso suo legame con la donna. Nel 1940 lascia Monza per diventare professore alla facoltà di scultura dell’Accademia di Torino e l’anno successivo diventa titolare della cattedra di scultura all’Accademia di belle arti di Brera a Milano. Durante la guerra si rifugia a Tenero[1], in Svizzera, nei pressi di Locarno (città natale di Marina). Si reca spesso a Zurigo e Basilea continuando a esporre fino al 1945.

Solo nel 1948 torna a Milano dove riprende a insegnare e torna a ricoprire la cattedra all’Accademia di Brera a Milano. Quell’anno  Peggy Guggenheim acquista un suo Cavaliere, L’angelo della città, e lo installa a Venezia davanti al suo museo, dove si trova tuttora.

Gli anni successivi vedono il suo progressivo svincolarsi dalle forme definite e un crescere del suo compiacimento per forme e volumi eleganti e stilizzati. Significativa in questo senso la sua amicizia con lo scultore Henry Moore. Nello stesso periodo incontra il mercante americano Curt Valentin, che lo invita negli Stati Uniti e gli organizza una grande personale a New York ed una serie di esposizioni che contribuiscono a far conoscere la sua opera nel mondo, la cui notorietà continua a crescere, facendolo esporre a Monaco, Rotterdam, Stoccolma, Copenhagen, Oslo e Helsinki, culminando con le grandi mostre al Kunsthaus di Zurigo nel 1962 e in Palazzo Venezia a Roma nel 1966.
Nel 1968 riceve a Göttingen la più alta onorificenza tedesca con la nomina a membro dell’Orden pour le Mérite fur Wissenschaften und Kunst, cui seguirà, nel 1976,  la dedica di una sala permanente alla Nuova Pinacoteca di Monaco di Baviera.

Lo scultore, la cui ricerca è stata rivolta alla struttura interna della forma, all’organizzarsi dello spazio stesso in forme plastiche, ha mirato sempre a valori di pura plastica, che lo hanno avvicinato anche agli esiti plastici della scultura etrusca ed egizia. Muore a Viareggio all’età di settantanove anni il 6 agosto 1980.

Alberto Martini, artista italiano del novecento

Alberto Martini

Alberto Martini

Alberto Martini, artista italiano del novecento

Alberto Martini, pseudonimo di Alberto Giacomo Spiridione, nasce il 24 novembre a Oderzo. Nel 1879 si trasferisce con la famiglia a Treviso dove il padre insegna disegno presso l’Istituto Tecnico Riccati.

Tra il 1890 e il 1895 sotto la guida del padre, descritto da Vittorio Pica come suo unico e premuroso maestro, inizia a dipingere e a disegnare. Durante gli anni della formazione, Martini realizza innumerevoli disegni, rivelando da subito una particolare predilezione per la grafica.

Si dedica anche ad acquarelli e tempere di piccolo formato, grazie ai quali raggiunge i primi validi risultati. Nel 1895 inizia la prima serie di illustrazioni a penna in inchiostro di china per il Morgante Maggiore di Luigi Pulci, che, tuttavia, presto abbandona per dedicarsi alle illustrazioni per la Secchia rapita (1895-1935) di Alessandro Tassoni.

Nel 1896 inizia a illustrare il ciclo grafico per il Poema del lavoro. Nel 1897 Espone alla II Biennale di Venezia 14 disegni per La corte dei miracoli che verranno presentati l’anno seguente a Monaco e all’Esposizione Internazionale di Torino, insieme ai disegni per Il Poema del lavoro. Nel 1898 Martini soggiorna a Monaco e lavora come illustratore per le riviste «Dekorative Kunst» e «Jugend».

Determinante risulta nella primavera di quell’anno l’incontro dell’artista con Vittorio Pica in occasione dell’Esposizione Internazionale di Torino. Sarà il noto critico napoletano a sostenerlo d’ora in poi, proponendo la sua arte in ambito italiano ed europeo. Nel 1901 esegue il primo ciclo di 19 disegni a penna acquarellati per l’edizione illustrata de La Divina Commedia, lavoro commissionato a Martini da Vittorio Alinari per intercessione del solerte Pica. Partecipa alla IV Biennale di Venezia con i disegni per La secchia rapita: 38 vengono acquistati dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma.

Nel mese di luglio del 1905 inizia a eseguire le tavole illustrative per i racconti di Edgar Allan Poe, a cui lavorerà sino al 1909 e oltre, inaugurando un periodo di grande intensità creativa nell’ambito della grafica a spunto letterario. Conosce e frequenta l’avvocato Cesare Sarfatti e la moglie di questi, Margherita, attiva nel campo della critica d’arte. I rapporti saranno frequenti fino al 1910, poi si interromperanno, per la polemica di Martini verso il ruolo della Sarfatti all’interno di Novecento.

Nel 1912 incoraggiato da Pica, Martini si dedica alla produzione pittorica, facendo uso soprattutto della tecnica del pastello. Realizza le Sinfonie del sole (L’Aurora, La notte, I fiumi) e il pastello Farfalla gialla. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, lavora a 54 litografie intitolate Danza macabra, tramite le quali rivela il suo sentimento antitedesco, che stampate in formato cartolina, sono distribuite tra gli alleati come propaganda. Risale al 1919 l’interesse di Martini per il teatro: realizza 84 disegni a penna e acquarello colorato e sei tavole a tempera per i costumi del balletto Il cuore di cera, in tale occasione l’artista si occupa anche della coreografia e del canovaccio letterario. Risale invece al 1923 l’idea di Martini del Tetiteatro: un teatro sull’acqua dedicato, come suggerisce il nome, alla dea del mare Teti. Deluso e amareggiato dall’ostilità dei critici italiani, che verso la fine degli anni Venti sembrano ignorare i suoi lavori, Martini si trasferisce a Parigi dove frequenta l’ambiente dei critici e dei letterati e trova numerosi estimatori della sua arte. Stringe amicizia con Solito de Solis, musicista e appassionato d’arte, che lo introduce nei salotti aristocratici parigini. Inizia a dipingere “alla maniera nera” eseguendo opere di impostazione surrealista.

Nel 1940 a causa della precaria situazione finanziaria Martini è costretto a rientrare a Milano. Qui, in occasione della Triennale milanese, esegue il bozzetto per il trittico Battaglia d’uomini e demoni: con quest’opera si impegna a esaltare le conquiste del regime. Allo stesso tempo però, soprattutto tra il 1935 e il 1936, rivela il suo acceso antinovecentismo tramite la pubblicazione sulla rivista «Perseo» di disegni, didascalie e vignette caratterizzati da una pungente vena satirica. Muore l’8 novembre del 1954 a Milano. Lascia un testamento spirituale, auspicando l’istituzione di un museo dove custodire le memorie e i documenti del surrealismo italiano.

Muore nel 1954 a Milano.

 

Marcello Mascherini

Marcello Mascherini

Marcello Mascherini

Marcello Mascherini nasce a Udine il 14 settembre 1906 ma non viene riconosciuto dal padre. Nel 1910 la madre si trasferisce a Trieste per poi rifugiarsi durante gli anni della guerra a Isernia, dove Mascherini frequenta la Regia Scuola d’Arte Applicata, nella sezione della lavorazione del legno e del ferro battuto. Al suo ritorno a Trieste (1921) s’iscrive alla classe per scultori ornatisti della scuola per capi d’arte dell’Istituto industriale A. Volta, dove individua in Alfonso Canciani un primo maestro, presto sostituito da Franco Asco.

È infatti nello studio di quest’ultimo, solo di tre anni più vecchio ma già molto apprezzato per l’accattivante stile secessionista, che Mascherini rielabora l’impronta, a cui era ancora legato Canciani, delle accademie di Vienna, Venezia e Roma, sviluppando un proprio linguaggio, più attento alla qualità espressiva. Diplomatosi nel 1924, ha il suo esordio espositivo nel dicembre dello stesso anno con alcuni gessi al Circolo artistico di Trieste. Nel 1928 esegue gli stucchi per il teatro Politeama Rossetti ed è coinvolto dall’architetto Umberto Nordio nella decorazione del nuovo palazzo di Giustizia per il quale plasma alcune grandi figure di giuristi (1934). Grazie ai due profili in bronzo del Duce e del Re realizzati per la motonave «Victoria I» (1930), Mascherini avvia una redditizia attività di decoratore di navi.

La partecipazione ad alcuni importanti cantieri architettonici consolida un linguaggio più maturo e “nazionale” della sua scultura: nel 1934 Nordio lo invita a collaborare al concorso per il palazzo del Littorio di Roma.
Gli anni Trenta sono costellati di successi culminati nel premio unico dell’Accademia d’Italia per la scultura, conferitogli da Mussolini stesso il 21 aprile 1940. Il riconoscimento corona un percorso di premi internazionali che ha inizio con la medaglia d’oro alla VI Mostra Regionale Giuliana di Trieste (1932), proseguendo con la medaglia d’argento alla V Triennale di Milano (1933), con il primo premio per la scultura alla VII Interprovinciale d’arte di Trieste (1933), con il premio alla Mostra dell’aeronautica di Milano allestita da Giò Ponti nel 1934 e con la medaglia del centenario del Lloyd triestino (1936). I premi anticipano una serie di inviti e di successi internazionali: dall’Esposizione d’arte italiana a Budapest nel 1936, all’incarico per la realizzazione di una delle statue del fastigio del padiglione Italia all’Esposizione universale di Parigi (premiata con la medaglia d’oro) nel 1937, al premio, nello stesso anno, dell’Esposizione d’arte italiana a Parigi.

Cresciuto nel clima di Novecento, Mascherini ha eluso la cosiddetta arte di regime attraverso l’evasione nell’arcaismo, sfociato talvolta in un sensualismo alla maniera di Aristide Maillol. A consacrarlo nell’Olimpo degli scultori italiani, è una monografia uscita nel 1945 a cura di Pica e la nomina nel 1948 ad accademico di S. Luca, nonché la partecipazione nel 1949 alla mostra d’arte italiana del XX secolo al Museum of Modern Art di New York. Nel 1967 si trasferisce a Sistiana, nel Carso, mantenendo da lì un’intensa attività espositiva. Dagli anni Settanta il Mascherini si presta alla realizzazione di monumenti pubblici.

Muore a Padova il 19 febbraio 1983.

Mario Micheletti, Natura Viva (restaurata), Olio su tavola cm102.5x121 firmato in b. a d

Mario Micheletti

Mario Micheletti

Mario Micheletti, Natura Viva (restaurata), Olio su tavola cm102.5x121 firmato in b. a dMario Micheletti nasce a Balzola Montefferato (Alessandria) il 10 marzo 1892.
Terminati gli studi classici, si iscrive all’Accademia Albertiana, diventando uno studente prodigio di Giacomo Grosso.
Negli anni Venti vive a Londra, dove ritrae esponenti della nobiltà inglese e della casa reale.
Paretecia a numerose esposizioni pubbliche: nel 1923 alla Quadriennale di Torino (alla quale partecipò anche nel 1927, 1951, 1955, 1964 e 1974), alla Biennale di Venezia nel 1924 e nel 1926 e alla Quadriennale di Roma nel 1925 (e fino al 1937).
Nel 1934 prende parte alla I mostra del Sindacato nazionale fascista di belle arti a Firenze con Autoritratto; un’opera influenzata dal realismo magico: il pittore si autoritrae dietro la sua modella nuda, all’aperto, ritratta in una posa che riprende l’Olympia di Edouard Manet.

A Parigi frequenta gli artisti di Montmartre; studia l’impressionismo e il post-impressionismo, conosce Pablo Picacco, Jean Concteau e Henri Matisse.

Negli anni Quaranta la sua pittura risente una forte influenza del verismo, in cui la luminosità del colore ha una forte rilevanza.
Le sue opere sono spesso caratterizzate da una pennellata immediata: negli anni Sessanta dipinge paesaggi naturalistici che dialogano con il simbolico e l’allegorico.

La sua attività sia pittorica che espositiva è molteplice e numerosi sono i riconoscimenti.
Nel 1971, presso il Circolo degli artisti di Torino, partecipa alla collettiva “133 pittori e il Cervino” e ad altre mostre, sempre nella sua città. Nel 1973, a causa di una malattia alle mani provocata dai colori, smise di dipingere per un lungo periodo.

Dopo un soggiorno di lavoro sulla costiera ligure, muore a San Maurizio Canavese (Torino) il 2 dicembre 1975.

Roberto Melli, artista italiano del novecento

Roberto Melli

Roberto Melli

Roberto Melli, artista italiano del novecentoRoberto Melli nasce a Ferrara il 21 marzo 1885.
Proviene da una famiglia di origine ebraica. Studia ragioneria; la sua strada inizialmente sembra seguire quella paterna, ma, nel 1902, all’età di diciassette anni, visita il Castello Estense e rimane sorpreso dalla pittura di Nicola Laurenti, di cui inizia a frequentare lo studio; già dapprima studia presso la bottega di un altro artista: tra il 1897 e il 1899 realizza i primi calchi in gesso presso lo scultore Arrigo Minerbi.

Nel 1902 si traferisce a Genova, dove conosce uomini di lettere e artisti: stringe amicizia con il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi; con lo scultore Giovanni Prini e lo scrittore Camillo Sbarbaro. Si specializza nell’arte della xilografia e illustra un numero per la rivista “Ebe”, pubblicata a Chiavari, diretta da Luigi Romolo Sanguineti; il segno xilografico d’ispirazione simbolista si coniuga con lo spirito preraffaellita. Per il medesimo periodico, disegna, nel 1907, la copertina e la testata, pubblicando i suoi primi scritti: I cavalieri dell’arte e Ad Alpinolo Porcella.

Nel 1912 espone alla I Esposizione italiana di xilografia a Levanto, evento organizzato dal quotidiano “L’Eroica”.
Apprende diverse tecniche artistiche: lavora la ceramica; il metallo e vince, nel 1910, una borsa di studio che lo conduce a Roma per frequentare la Regia Scuola dell’arte della medaglia, in cui insegna Giuseppe Romagnoli. Nell’Urbe scolpisce due calchi in gesso che prendono esempio dallo stile sia di Agostin Rodin che di Medardo Rosso: Maschera di Ferruccio Garavaglia e Ritratto dell’attrice Giula De Riso, entrambi del 1910 ed esibite, nel 1913, alla I mostra della Seccessione romana al palazzo dell’Esposizioni.

Nel 1915 con Costantini, Fioresi, Oppo e Pizzirani fonda il “Gruppo Moderno italiano” e, nel 1918, partecipa alla nascita della rivista di Mario Broglio, “Valori Plastici”. Nel celebre periodico pubblica, nel 1917, Prima rinnegazione della scultura, firmando così il suo “testamento”, poichè abbandona l’attività scultorea. L’anno successivo apre la Casa d’arte a Roma, in via dei Coronari. Di questi anni sono i dipinti d’ispirazione metafisica: Composizione di oggetti del 1918; Testa e Interno del 1919.

Partecipa alla VI, VII e VIII Mostra del Sindacato regionale fascista di belle arti del Lazio con Natura morta del 1936, Composizione, Paesaggio del 1937 e nel 1937 realizza, su commissione del ministero degli Esteri, un Ritratto del duce destinato alla sede di un’ambasciata italiana. A causa delle leggi razziali, Roberto Melli non può partecipare a esposizioni pubbliche, ma, dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1945 diviene maestro di pittura all’Accademia di belle arti di Roma, ruolo che ricopre per dieci anni.

Negli anni Cinquanta si dedica nuovamente alla critica d’arte, collabora con La Fiera letteraria e Paese. Inoltre continua a impegnarsi in campo sociale e politico, divenendo nel 1952 presidente della Federazione nazionale degli artisti, proponendosi alle elezioni del 1953 per il movimento Alleanza democratica nazionale, creato in difesa della cultura e delle arti.

Muore a Roma il 4 gennaio 1958.

Luigi Montanarini, pittore italiano (autoritratto)

Luigi Montanarini

Luigi Montanarini

Luigi Montanarini, pittore italiano (autoritratto)

Nasce a Firenze da Stefano e da Maria Cianchi. Nel 1925, durante una delle frequenti visite agli Uffizi, incontra casualmente e conosce il pittore Maurice Denis. Nello stesso anno effettua il suo primo soggiorno in Francia.

Nel 1927 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze e comincia il legame artistico ed affettivo con Felice Carena, suo maestro di Pittura. Dimostra subito grande amore per i classici e per i maestri dell’Ottocento, da Courbet a Paul Cézanne e Pierre-Auguste Renoir.

Quattro anni più tardi consegue il Diploma di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e compie il suo secondo viaggio in Europa. Visita due volte i Paesi Bassi dove rinnova il suo interesse per Rubens, Van Gogh e Rembrandt. Successivamente visita Zurigo e si reca per la seconda volta a Parigi, dove conosce Gino Severini e rinsalda la sua amicizia con Alberto Magnelli, conosciuto a Firenze. Nella stessa città incontra e frequenta vari artisti fra cui Picasso ed ha numerosi scambi con i pittori Jacques Villon e Alfred Manessier.

Nel 1932 vince il Pensionato Artistico Nazionale per la sezione Pittura insieme a Pericle Fazzini, che vince il premio nella sezione Scultura.

Aderisce alla Scuola romana (novecento) insieme alla quale espone alla Galleria “La Cometa” di Roma e nel 1937 e 1938 vi tenne le sue prime personali. Conosce Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Afro Basaldella, Mirko Basaldella, Emanuele Cavalli, Alberto Ziveri e Mario Mafai. Stringe amicizia con Emilio Villa, Guido Piovene e Alfonso Gatto. Di quegli anni la sua partecipazione al “muralismo”. Nel 1939 vi è la sua prima partecipazione alla Quadriennale nazionale d’arte di Roma (poi ancora nel 1943, 1955, 1959, 1973). Dal 1940 insegna al liceo artistico di Roma.

Al termine della seconda guerra mondiale fonda assieme a Pericle Fazzini, Enrico Prampolini, Joseph Jarema e Virgilio Guzzi, l’Art Club con sede in via Margutta 54. Conosce e frequenta Lionello Venturi, ritornato in Italia dopo l’esilio del periodo fascista.

L’anno 1956 segna l’inizio del suo periodo informale. Vince un premio acquisto alla quarta edizione del Premio Spoleto.

Nel 1965 diventa direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Roma (dove era già docente dal 1956) e membro dell’UNESCO, cariche che manterrà fino al 1976.

Luigi Montanarini muore e Roma il 7 gennaio 1998, nella sua casa di via di Monserrato. È sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.

Publio Morbiducci, artista italiano del novecento

Publio Morbiducci

Publio Morbiducci

Publio Morbiducci, artista italiano del novecento

Publio Morbiducci nasce a Roma il 28 agosto 1889, secondogenito di Luigi, operaio metallurgico, e di Anna Maria Polizzi, impiegata in una tipografia. A causa delle ristrettezze economiche della famiglia, nel 1900 deve interrompere gli studi per lavorare presso un carrozzaio. Continua, tuttavia, a studiare da autodidatta e nel 1904, grazie a una breve esperienza nella bottega di un pittore specializzato nei cosiddetti arazzi (tele pubblicitarie dipinte), apprende i primi rudimenti di arte pittorica, manifestando una spiccata inclinazione artistica.

Nel 1905 si iscrive all’Istituto di Belle Arti, che frequenta fino al 1910. Parallelamente segue i corsi del Museo artistico industriale, dove conosce Duilio Cambellotti che lo persuade ad abbracciare definitivamente la carriera artistica. Nel 1910 realizza il rovescio della medaglia commemorativa del Cinquantenario della Proclamazione del Regno d’Italia del 1911. L’anno successivo è ammesso alla Scuola d’arte della medaglia, frequentandone i corsi sino al 1915 grazie a una serie di borse di studio. Tale esperienza si rivela fondamentale nel suo percorso, offrendogli una conferma significativa delle proprie aspirazioni artistiche nonché la possibilità di un tirocinio tecnico di notevole importanza. Già a partire da quegli anni Morbiducci inizia a cimentarsi in ambiti espressivi diversi, maturando da subito quella concezione del fare fortemente incentrata su una dimensione artigianale, a cui rimase fedele anche negli anni di maggior affermazione.

Nel 1915, esonerato per motivi di salute dal servizio di leva, si iscrive al partito socialista ed esordisce alla Secessione romana, esponendovi due maschere bronzee (Mio fratello AugustoIl pittore S. Silva) che lo consacrano tra gli scultori dell’epoca. Nel 1924 Ugo Ojetti presenta la mostra di medaglie realizzate dall’artista all’American Numismatic Society di New York. Nel 1931 si aggiudica il concorso per il Monumento al bersagliere di Roma a cui lavora sino al 1932. Il lavoro era stato assegnato su segnalazione di Mussolini che aveva ritenuto il suo bozzetto il più idoneo a esprimere il carattere popolare del bersagliere.

Tra il 1930 e il 1940 si afferma come uno dei maggiori artisti del regime ed è protagonista nella mostra del Decennale della Rivoluzione fascista. Nel 1937 è nominato membro dell’Accademia di S. Luca. Nel 1939 si sposa con Nicoletta Olga De Marchis. Risalgono a questi anni le ultime opere monumentali, realizzate nel quartiere dell’EUR: nel 1939 gli viene commissionato il grande fregio marmoreo per palazzo degli Uffici e, nel 1940, uno dei gruppi dei Dioscuri per il palazzo della Civiltà italiana, la cui esecuzione fu sospesa a causa della guerra; l’artista porterà a compimento le statue, semidistrutte dai bombardamenti, solo nel 1956.

Muore a Roma il 31 marzo del 1963.

Marisa Mori (autoritratto), artista italiana del novecento

Marisa Mori

Marisa Mori

Marisa Mori (autoritratto), artista italiana del novecento

Marisa Mori, all’anagrafe Maria Luisa Lurini, nasce a Firenze il 9 marzo 1900. Nel 1918 si trasferisce con la famiglia a Torino, dove si avvicina alla pittura da autodidatta, incoraggiata dallo scultore e amico di famiglia Leonardo Bistolfi. In quegli anni a Torino era attivo Felice Casorati e la Mori, dopo aver visto alcuni suoi ritratti, rimane entusiasta di quel tipo di pittura e decide di frequentare le sue lezioni tra il 1925 e il 1931, per poi diventarne assistente nei primi anni Trenta, quando Casorati apre una vera scuola. Nel 1926 partecipa all’Esposizione delle vedute di Torino a palazzo Bricherasio insieme al gruppo degli allievi della scuola di Casorati, di cui facevano parte anche Nella Marchesini, Daphne Maugham, Paola Levi Montalcini e Lalla Romano. Nel capoluogo piemontese prende parte a varie edizioni delle esposizioni organizzate dalla Promotrice di belle arti del Valentino, partecipa alla IV Quadriennale di Torino; quindi è presente alle Sindacali del 1929, 1930, 1931 e 1932.

Tra il 1931 e gli inizi del 1932 la Mori conosce Tullio Mazzotti e Fillia, entrando così in contatto con il gruppo dei futuristi. Nel novembre del 1931, a Chiavari, partecipa alla Mostra futurista di pittura e scultura e arti decorative con una serie di ceramiche da lei ideate e prodotte dalla ditta Mazzotti di Albisola. Nel 1932 la sua adesione al futurismo è sancita dall’intensa attività espositiva condotta insieme al gruppo dei futuristi liguri-piemontesi della seconda generazione. La parentesi torinese si conclude nel 1932. quando fa ritorno a Firenze al seguito del marito, con il quale entra a far parte dei Gruppi futuristi d’iniziative diretti da Antonio Marasco. Nel contempo inizia a dipingere quadri ispirati al mito futurista della radio e dell’ascolto radiofonico.

Nel 1933 alla I Mostra futurista di scenotecnica cinematografica presso la galleria Bardi di Roma, ottiene la medaglia d’argento per il plastico del film Sintesi dell’isola d’Elba, che tuttavia non sarà mai girato.
L’interesse per il teatro e il cinema la porta a iscriversi, verso la metà degli anni Trenta, alla scuola di recitazione dell’Accademia dei Fidenti a Firenze, nella quale diviene insegnate di storia del costume nel dopoguerra. Contribuirà anche alla stesura della Cucina futurista di Marinetti e Fillia.
Nell’aprile del 1934 espone con la sua prima personale nello spazio Bragaglia fuori commercio di Roma. Sempre nella compagine futurista prende parte alla Quadriennale nazionale di Roma negli anni 1931, 1935 (Ritorno dalle colonie marine) e 1939 (Concerto di fabbrica sulle Apuane).
Ricercando un costante equilibrio tra elementi astratti e figurativi, non abbandona mai del tutto la riconoscibilità naturalistica dei soggetti, ma sottopone le forme a una scomposizione cubo-futurista privilegiando i ritmi curvilinei.
Sul finire degli anni Trenta, in netto dissenso con l’emanazione delle leggi razziali, dà ospitalità a Rita e Gino Levi Montalcini, dal quale apprende una tecnica di disegno a ricalco, messa a punto da lui stesso, che ha utilizzato per un lungo periodo nelle sue opere. Proprio in questi anni mette in discussione il suo rapporto con il futurismo e dopo la morte del marito, avvenuta nel 1943, abbandona definitivamente il movimento marinettiano per tornare verso una figurazione di matrice classica e naturalistica, ritrovando temi casoratiani, come il ritratto, le nature morte, le maschere, i nudi. Nel 1951 presenta il dipinto Studio per il ritratto di Vera Zalla alla VI Quadriennale nazionale di Roma, dopodiché conduce vita ritirata, esponendo di rado e quasi esclusivamente nelle mostre di pittura femminile patrocinate dal circolo culturale fiorentino Lyceum. In questa ultima fase della sua ricerca dipinge soprattutto figure umane, paesaggi dal vero o nature morte, partecipando a numerosi concorsi di pittura estemporanea.

Muore a Firenze il 6 marzo 1985.

Plinio Nomellini, artista italiano del novecento

Plinio Nomellini

Plinio Nomellini

Plinio Nomellini, artista italiano del novecentoPlinio Nomellini nasce a Livorno il 6 agosto 1866.
Studia disegno alla Scuola comunale di Livorno, in cui insegna Natale Betti, suo fedele maestro.
Ottiene una borsa di studio per l’Accademia di Belle Arti di Firenze, in cui insegna Giovanni Fattori e nel 1884 si trasferisce nel capoluogo toscano. Entra in contatto con gli artisti macchiaioli, Silvestro Lega e Telemaco Signorini e inoltre stringe amicizia con il suo compagno di Accademia, Giuseppe Pellizza da Volpedo. Nella sua pittura il divisionismo, di tempra sociale, si alterna con un genere paesaggistico.

Nel 1984 è accusato di aver partecipato a riunioni anarchiche e testimonia in sua difesa T. Signorini; nel periodo di prigionia disegna i carcerati di Sant’Andrea.

Nel 1902 parte da Genova per giungere a Torre del Lago, dove incontra Gabriele d’Annunzio, Eleonora Duse, Gabriele Puccini, Grazzia Deledda, Galileo Chini; quattro anni più tardi, nel 1907, espone, alla VI Biennale di Venezia, La nave corsara e Gl’insorti, Garibaldi e Alba di Gloria e progetta, insieme a G. Chini, la duplice sala intitolata L’arte del Sogno.
Nel 1914 entra nella Loggia Felice Orsini di Viareggio, divenendo nel 1916 Maestro massone.
Nel 1919 si stabilisce definitivamente a Firenze e negli anni Venti aderisce al Fascismo, realizzando Incipit nova aetas.
Plino Nomellini è anche un organizzatore eclettico: nel 1928 presiede il Gruppo Labronico, un’associazione di pittori che nasce a Livorno il 15 luglio 1920.
Negli anni Trenta accresce il suo prestigio, alimentato dalle personali tenute alla Galleria di Palazzo Ferroni di Firenze nel 1933, alla Galleria d’arte di Genova nel 1934, e, soprattutto, dalle numerosre rassegne e mostre collettive. E’ presente a tutte le edizioni della Biennale di Venezia, svolte dalla fine della prima guerra mondiale fino al 1942.

Muore a Firenze l’8 agosto 1943.

Giuseppe Novello

Giuseppe Novello

Giuseppe NovelloGiuseppe Novello nasce a Codogno (Lodi).
Frequentò il Regio liceo Berchet a Milano, città in cui si era trasferito nel 1912 e dove spesso visitava lo studio dello zio pittore, il quale incoraggiò la sua precoce inclinazione per l’arte.
Chiamato nel 1917 sotto le armi, combatté da alpino nella 46a compagnia del battaglione Tirano, venendo coinvolto nella sconfitta di Caporetto. Al corpo degli Alpini restò poi legato per tutta la vita.
Dopo la guerra, nel 1920, conseguì la laurea in giurisprudenza a Pavia, discutendo una tesi sui diritti d’autore nelle arti figurative; intanto, nel 1919 si era iscritto all’Accademia di belle arti di Brera, dove studiò pittura con Ambrogio Alciati, diplomandosi nel 1924. L’anno dopo prese parte all’esposizione di Brera, vincendo il premio Fumagalli. Nello stesso tempo continuava la sua attività di illustratore, realizzando, sul tema bellico, 46 tavole per La canzone dei verdi di Renzo Boccardi (Monza 1927).
Fin dagli anni giovanili, si venne dunque delineando nella fisionomia e nel percorso di Novello una caratteristica duplicità che lo avrebbe accompagnato nel tempo: da un lato il pittore dal sereno linguaggio naturalistico di derivazione postimpressionista, dall’altro il disegnatore umoristico dal segno icastico e dall’ironia sottile e tagliente, seppure mai brutale.
A Milano ebbe modo di frequentare il cenacolo di artisti e intellettuali che si riuniva in via Bagutta presso la Trattoria toscana Pepori: fra gli altri, Ottavio Steffenini, Bernardino Palazzi, Adolfo Franci, Ugo Ojetti, Mario Vellani Marchi, Anselmo Bucci, Arturo Martini, Paolo Monelli.
A partire dal 1927 partecipò a quasi tutte le esposizioni allestite presso la Permanente di Milano, espose inoltre alla I Quadriennale di Roma nel 1931 e alle Biennali di Venezia del 1934, 1936 e 1940 (anno in cui vinse il concorso per il ritratto).
Negli anni Trenta raggiunse notorietà nazionale e internazionale come illustratore, anche grazie alla pubblicazione presso Mondadori di due volumi che raccoglievano le vignette realizzate per Fuori sacco (Il signore di buona famiglia, 1934; Che cosa dirà la gente?, 1937; più volte ristampati). Il garbato umorismo di ascendenza anglosassone e il segno grafico efficacemente sintetico erano apprezzati anche all’estero, tanto che le sue tavole vennero pubblicate su testate come Libertad (1933), Berliner illustrirte Zeitung (1934) e Je suis partout (1934).
Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi nel V Reggimento Alpini e sopravvisse alla tragica esperienza della campagna di Russia, testimoniata dalle lettere inviate alla sorella Lotti, protagonista anche di vari suoi dipinti. Dopo il rientro in Italia nel marzo 1943 e l’armistizio, il 9 settembre venne fatto prigioniero a Fortezza e il giorno dopo fu deportato nel Lager per ufficiali italiani di Częstochowa; da lì venne trasferito nei campi di Benjaminovo, Sandbostel e infine Wietzendorf, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò. Nella baracca in cui restò rinchiuso insieme ai suoi compagni per due anni, realizzò molti disegni, riuscendo con la sua vis comica a mantenere alto il morale collettivo.
Dato per morto da varie cronache giornalistiche, nel 1945 rientrò in Italia e riprese a dividere la sua vita fra Milano e Codogno, alternando l’illustrazione umoristica alla pittura.
Negli anni Cinquanta riprese il rapporto con la Mondadori, che pubblicò i suoi disegni di guerra nel volume Steppa e gabbia (1957) e varie sue illustrazioni. Dal 1965 interruppe la sua collaborazione con La Stampa, desiderando dedicarsi principalmente alla pittura, che portò avanti restando fedele al suo disteso e gradevole linguaggio sinteticamente naturalistico e mantenendosi volutamente autonomo rispetto ai contemporanei lessici d’avanguardia.
Fra i suoi ultimi lavori editoriali vi furono il volume illustrato sul teatro e il melodramma Coda al loggione, con presentazione di Nino Rota, edito dalla Ponte Rosso nel 1978 in occasione delle celebrazioni per i 200 anni della Scala, e la raccolta, pubblicata da Archinto per i suoi novant’anni, delle spiritose Cartoline-lametta (1987) da lui inviate nel tempo a parenti e amici. Nel 1984 fu insignito dal Comune di Milano della civica benemerenza Ambrogino d’oro.
Morì il 2 febbraio 1988 a Codogno.

Lila De Nobili

Lila De Nobili

Lila De Nobili

Lila De NobiliLila De Nobili nasce a Castagnola (Lugano) il 3 settembre 1916.
Negli anni ’30 studia all’Accademia di Belle Arti di Roma con Ferruccio Ferrazzi.
Nel 1943 si trasferisce a Parigi dove inizia a fare l’illustratrice per i grandi stilisti francesi e per le più importanti riviste di moda, come French Vogue.

Nel 1947 comincia a lavorare nel mondo del teatro come scenografa, collaborando con i registi Raymond Rouleau, Giancarlo Menotti e Tony Richardson; i vestiti da lei disegnati vengono indossati dalle più grandi dive del palcoscenico come Maria Callas ed Edith Piaf.
Durante gli anni ‘50 Lila de Nobili inizia il sodalizio con Luchino Visconti: nel 1954 al Teatro Olimpia di Milano disegna le scenografie di Come le foglie, cui seguono quelle per La Traviata alla Scala sempre nella città meneghina, ed infine nel 1956 lavora a Mario il Mago.
Sul calare degli anni ‘50 lavora nel Regno Unito alla Royal Shakespeare Accademy e, successivamente, per la Royal Opera House di Londra.

Parallelamente al lavoro in teatro, in questi anni Lila de Nobili disegna costumi anche per il cinema, collaborando con il già citato Raymond Rouleau e soprattutto con Michel Boisrond nel famoso film Amours Célèbres, nel cui cast sono presenti Brigitte Bardot, Alain Delon e Jean Paul Belmondo.
Ritiratasi a vita privata, Lila può dedicarsi in maniera più assidua alla pittura, passione che ha fin da giovane, nella sua casa di Parigi.

Si spegne il 19 febbraio del 2002

Cesare Peverelli

Cesare Peverelli

Cesare Peverelli nasce a Milano il 30 maggio 1922.

Frequenta il ginnasio a Torino per poi fare ritorno a Milano nel 1938. L’anno successivo inizia a studiare all’Accademia di Brera, dove è discepolo di Carlo Carrà e Achille Funi. Nel 1941 si avvicina, grazie a Morlotti, al gruppo Corrente, manifestando però un interesse maggiore per le nature morte di Giorgio Morandi.

Nel 1942 incontra Renato Guttuso in occasione del premio Bergamo, che lo invita a soggiornare a Roma, ospitandolo.
Schieratosi apertamente con la Resistenza, durante il secondo conflitto mondiale, nel 1943, dipinge otto tele ispirate dal grande capolavoro di Picasso: Guernica, che esposte successivamente alla Galleria del Milione. Nel 1945, alla Mostra della Liberazione, è presente con I Disastri della Guerra.

Nel 1946, in collaborazione con Crippa, apre la Galleria Pittura, dove tre anni dopo ha luogo una sua personale.
Partecipa alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1950, dove le opere presentate subiscono l’influsso di Wols e di Pollock.
Tra il 1951 e il 1953, è primo tra i firmatari del Manifesto del Movimento Spazialista, ed è poi tra i protagonisti della mostra alla galleria del Naviglio della prima collettiva di arte spaziale
Più tardi nel ’57, l’artista si trasferisce a Parigi dove inizia il ciclo pittorico delle villes, e dove espone nello stesso anno alla Galleria du Dragon.

Gli inizi degli anni 60 sono scanditi da vari soggiorni nella Francia, che gli lasciano nuove suggestioni per la creazione di nuovi cicli pittorici. Nel 1965 è presente alla Quadriennale di Roma con i lavori del ciclo ‘Crisalidi’; nello stesso anno compie prima un soggiono a New York, ed è poi protagonita alla Biennale di San Paolo in Brasile. Nel ’68 tiene una personale alla Galleria Nuova Pesa.

Negli anni 70 inzia la collaborazione con lo scrittore Michel Butor Peverelli; per il quale realizza vari disegni ed incisioni per le illustrazioni dei suoi libri più importanti.
Gli ultimi anni sono scanditi da importanti mostre in tutto il mondo; si concentra anche sulla produzione grafica e sulla ceramica. Nel 1996 gli viene dedicata una grande antologica al Palazzo Reale di Milano.

Muore a Parigi il 13 marzo 2000