Giuseppe Novello
Giuseppe Novello
Giuseppe Novello nasce a Codogno (Lodi).
Frequentò il Regio liceo Berchet a Milano, città in cui si era trasferito nel 1912 e dove spesso visitava lo studio dello zio pittore, il quale incoraggiò la sua precoce inclinazione per l’arte.
Chiamato nel 1917 sotto le armi, combatté da alpino nella 46a compagnia del battaglione Tirano, venendo coinvolto nella sconfitta di Caporetto. Al corpo degli Alpini restò poi legato per tutta la vita.
Dopo la guerra, nel 1920, conseguì la laurea in giurisprudenza a Pavia, discutendo una tesi sui diritti d’autore nelle arti figurative; intanto, nel 1919 si era iscritto all’Accademia di belle arti di Brera, dove studiò pittura con Ambrogio Alciati, diplomandosi nel 1924. L’anno dopo prese parte all’esposizione di Brera, vincendo il premio Fumagalli. Nello stesso tempo continuava la sua attività di illustratore, realizzando, sul tema bellico, 46 tavole per La canzone dei verdi di Renzo Boccardi (Monza 1927).
Fin dagli anni giovanili, si venne dunque delineando nella fisionomia e nel percorso di Novello una caratteristica duplicità che lo avrebbe accompagnato nel tempo: da un lato il pittore dal sereno linguaggio naturalistico di derivazione postimpressionista, dall’altro il disegnatore umoristico dal segno icastico e dall’ironia sottile e tagliente, seppure mai brutale.
A Milano ebbe modo di frequentare il cenacolo di artisti e intellettuali che si riuniva in via Bagutta presso la Trattoria toscana Pepori: fra gli altri, Ottavio Steffenini, Bernardino Palazzi, Adolfo Franci, Ugo Ojetti, Mario Vellani Marchi, Anselmo Bucci, Arturo Martini, Paolo Monelli.
A partire dal 1927 partecipò a quasi tutte le esposizioni allestite presso la Permanente di Milano, espose inoltre alla I Quadriennale di Roma nel 1931 e alle Biennali di Venezia del 1934, 1936 e 1940 (anno in cui vinse il concorso per il ritratto).
Negli anni Trenta raggiunse notorietà nazionale e internazionale come illustratore, anche grazie alla pubblicazione presso Mondadori di due volumi che raccoglievano le vignette realizzate per Fuori sacco (Il signore di buona famiglia, 1934; Che cosa dirà la gente?, 1937; più volte ristampati). Il garbato umorismo di ascendenza anglosassone e il segno grafico efficacemente sintetico erano apprezzati anche all’estero, tanto che le sue tavole vennero pubblicate su testate come Libertad (1933), Berliner illustrirte Zeitung (1934) e Je suis partout (1934).
Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi nel V Reggimento Alpini e sopravvisse alla tragica esperienza della campagna di Russia, testimoniata dalle lettere inviate alla sorella Lotti, protagonista anche di vari suoi dipinti. Dopo il rientro in Italia nel marzo 1943 e l’armistizio, il 9 settembre venne fatto prigioniero a Fortezza e il giorno dopo fu deportato nel Lager per ufficiali italiani di Częstochowa; da lì venne trasferito nei campi di Benjaminovo, Sandbostel e infine Wietzendorf, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò. Nella baracca in cui restò rinchiuso insieme ai suoi compagni per due anni, realizzò molti disegni, riuscendo con la sua vis comica a mantenere alto il morale collettivo.
Dato per morto da varie cronache giornalistiche, nel 1945 rientrò in Italia e riprese a dividere la sua vita fra Milano e Codogno, alternando l’illustrazione umoristica alla pittura.
Negli anni Cinquanta riprese il rapporto con la Mondadori, che pubblicò i suoi disegni di guerra nel volume Steppa e gabbia (1957) e varie sue illustrazioni. Dal 1965 interruppe la sua collaborazione con La Stampa, desiderando dedicarsi principalmente alla pittura, che portò avanti restando fedele al suo disteso e gradevole linguaggio sinteticamente naturalistico e mantenendosi volutamente autonomo rispetto ai contemporanei lessici d’avanguardia.
Fra i suoi ultimi lavori editoriali vi furono il volume illustrato sul teatro e il melodramma Coda al loggione, con presentazione di Nino Rota, edito dalla Ponte Rosso nel 1978 in occasione delle celebrazioni per i 200 anni della Scala, e la raccolta, pubblicata da Archinto per i suoi novant’anni, delle spiritose Cartoline-lametta (1987) da lui inviate nel tempo a parenti e amici. Nel 1984 fu insignito dal Comune di Milano della civica benemerenza Ambrogino d’oro.
Morì il 2 febbraio 1988 a Codogno.