Ubaldo Oppi

Ubaldo Oppi

Ubaldo Oppi nasce a Bologna il 29 luglio 1889.
Nel 1907 si iscrive alla Scuola di Nudo dell’Accademia, diretta da Gustav Klimt.
Espone nel 1910, come artista esordiente, alla Ca’ Pesaro di Venezia e l’anno successivo è a Parigi, dove incontra Gino Severini, Picasso, Modigliani.

Torna in Italia nel 1912; partecipa nuovamente alla Ca’ Pesato e nel 1914 espone alla II Esposizione Internazionale d’Arte della Seccessione Romana. Allo scoppio della Grande Guerra in Italia, nel 1915, si arruola nel corpo degli alpini; viene imprigionato e vive, alcuni mesi, a Mauthausen, in cui realizza disegni e acquerelli, ispirati alla guerra.
Dopo il suo rilascio, nel 1919, partecipa al Salon des Indépendants, rimanendo a Parigi fino al 1922.

Tornato in Italia, fonda a Milano, insieme ad altri sei artisti, il gruppo Novecento, guidato da Margherita Sarfatti. Il nuovo gruppo si presenta per la prima volta alla galleria Pesaro di Milano e, nel 1926 al Palazzo della Permanente di Milano, Ubaldo Oppi espone le sue opere alla celebre I mostra del Novecento italiano.

Oppi è inviato a tutte le Biennali dal 1926 al 1932. La sua pittura media tra un genere naturalistico e metafisico; è considerato uno dei seguaci maggiori del Realismo Magico.
Dopo il 1932 si avvia la sua ultima attività pittorica che coincide con il trasferimento a Vicenza, dove sembra avere una propensione per i soggetti religiosi: affresca, concludendo con attenzione il lavoro di Adolfo De Carolis del 1926, Le storie francescane nella cappella di San Francesco nella Basilica di Sant’Antonio a Padova, mentre, tra il 1934 e il 1935, realizza gli affreschi per la chiesa di Santa Maria a Bolzano Vicentino. Nei suoi lavori ad affresco, il disegno ha un ruolo fondamentale.
Durante la Seconda guerra mondiale viene richiamato alle armi e accresce il suo ruolo militare con la nomina di tenente colonello, ma, a causa di una malattia, viene congedato.

Torna a Vicenza, dove muore il 25 ottobre 1942.

Filippo de Pisis, ritratto dell'artista

Filippo de Pisis

Filippo de Pisis

Filippo de Pisis, ritratto dell'artista

Luigi Filippo Tibertelli nasce a Ferrara nel 1896. Talento creativo e versatile, dimostra fin da giovane un temperamento intellettuale e inclinazioni letterarie, nonostante sin da giovanissimo avesse cominciato a prendere lezioni private di pittura. Si iscrive quindi alla Facoltà di Lettere all’Università di Bologna iniziando nel frattempo a inserirsi nel dibattito culturale della sua città pubblicando i Canti della Croara nel 1916, lo stesso anno in cui incontra de Chirico, Savinio e Carrà, militari a Ferrara: un sodalizio che avrà influenze decisive nella sua formazione pittorica. Fin dai primi scritti, insieme alla sorella maggiore Ernesta (anche lei brillante intellettuale) recupera, dall’avo Filippo Tibertelli de Pisis, la parte decaduta del cognome firmandosi “Filippo de Pisis”.

L’incontro definitivo con la pittura avviene nel 1923 durante il periodo che trascorre ad Assisi, e vi si dedica sempre più assiduamente durante gli anni romani fino al 1926 anno in cui decide di trasferirsi a Parigi dove rimane fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939. Durante gli anni parigini la sua pittura si affranca e acquista, attraverso una spazialità dalle derivazioni metafisiche, il lirismo narrativo che si ritrova anche negli scritti, fatto di impressioni visive appuntate quasi in modo stenografico. A Parigi de Pisis è affascinato dai dipinti degli Impressionisti e dai Fauves che assimila e poi rielabora ottenendo così delle composizioni estremamente personali, animate da una vena di malinconica poesia.
Di ritorno dalla Francia si trasferisce a Milano in via Rugabella fino al 1943 quando il suo studio viene distrutto dai bombardamenti. Lo stesso anno si stabilisce a Venezia dove resta fino al 1948 quando si presentano i primi sintomi della malattia che lo porterà negli anni successivi a ripetuti periodi in cliniche. Gli ultimi quadri sono lo specchio della sua sofferenza: materia rarefatta o colori cupi esprimono un profondo mal di vivere. Muore a Milano nel 2 aprile 1956.

Fausto Pirandello, artista italiano del novecento

Fausto Pirandello

Fausto Pirandello

Fausto Pirandello, artista italiano del novecento

Figlio ultimogenito di Luigi Pirandello e di Maria Antonietta Portolano, entrambi originari di Agrigento, nacque dunque dopo il fratello Stefano e la sorella Lia. Trascorse l’infanzia tra Roma e le vacanze in Sicilia, terra che gli infonderà la passione per quelle tonalità che saranno poi tra le caratteristiche inconfondibili della sua pittura.

Nel 1917 riceve la chiamata alle armi, tra i Ragazzi del ’99, ed è costretto ad interrompere gli studi classici anche se non viene immediatamente inviato al fronte per motivi di salute. Passa quindi il periodo della guerra in ospedale e un periodo di ricovero a Firenze. Dopo la guerra non riprende gli studi e manifesta la volontà di dedicarsi alla scultura anche se, sempre per problemi legati alla salute, sarà costretto ben presto a passare alla pittura (già praticata come svago in casa Pirandello, sia dal padre che dal fratello maggiore, Stefano).

Il suo primo insegnante d’arte è Sigismondo Lipinsky, scultore e incisore simbolista, presso il quale segue nel 1919 un corso di disegno della durata di un anno. È quindi del 1920 la decisione di lasciare definitivamente la scultura e dedicarsi interamente alla pittura. Nel 1922 si iscrive infatti alla Scuola d’Arte agli Orti Sallustiani, aperta a Roma da Felice Carena, Attilio Selva e Orazio Amato, che frequenterà fino al 1923. Qui conosce i pittori Emanuele Cavalli, Onofrio Martinelli e Giuseppe Capogrossi, con i quali trascorre lunghi soggiorni estivi ad Anticoli Corrado. Felice Carena è colui che introduce realmente Pirandello nel mondo di Anticoli Corrado, paese dell’Alta Valle dell’Aniene molto popolare fra gli artisti dell’epoca alla ricerca di paesaggi pittoreschi e modelle di posa, e dove nel 1924 Fausto apre il suo primo studio di pittura.

Nello stesso anno conosce ad Anticoli lo scultore Arturo Martini, appena giunto nel paesino al seguito del pittore e scultore statunitense Maurice Sterne, in qualità di collaboratore artistico. E ad Anticoli Corrado Fausto conosce anche Pompilia D’Aprile, già modella di posa per i pittori Francesco Trombadori e Amleto Cataldi, che sposerà nel 1927 (matrimonio mantenuto segreto al padre fino al 1930) e dalla quale avrà due figli, Pierluigi e Antonio.

Nel 1925 Pirandello fa la sua prima apparizione in pubblico alla III edizione della Biennale Romana, con l’opera Bagnanti e l’anno successivo alla XV Biennale Internazionale d’Arte della Città di Venezia, con Composizione, rassegna che lo vedrà esporre con continuità dal 1932 al 1942.

Nel 1927 Fausto Pirandello decide di stabilirsi a Parigi con la moglie Pompilia. Risiede a Montparnasse e prende un piccolo studio a Montrouge. Il viaggio è una vera e propria fuga, un tentativo di allontanarsi dai condizionamenti psicologici del padre ma anche un’occasione per esperire nuove soluzioni nell’ambito della sua pittura. A Parigi frequenta il gruppo degli Italiens de Paris (specialmente Giorgio De Chirico e Filippo de Pisis), conosce più da vicino le opere di Cézanne, dei cubisti (Picasso e Braque) e dei pittori della Scuola di Parigi (l’École de Paris) esposti nelle Gallerie più in vista della città. E nella Ville Lumiére Fausto diventa padre di un maschio, Pierluigi, il 5 agosto del 1928.

La sua prima esposizione parigina è insieme a Emanuele Cavalli e a Francesco Di Cocco, in casa della contessa Castellazzy-Bovy; in seguito alla Galerie Vildrac (1929), dove allestisce la sua prima vera personale e a cui segue una seconda personale all’estero, a Vienna, nel 1929.

Fausto Pirandello si colloca tra gli esponenti della Scuola romana, ma distinguendosi da essi per originalità e ricerca solitaria. L’originalità della sua pittura è orientata verso un realismo del quotidiano che si manifesta negli aspetti anche più impietosi e spiacevoli, esprimendosi mediante una materia pittorica densa e scabra. La sua visione, sostanzialmente intellettualistica, traduce tuttavia il dato naturalistico anche più brutale in una sorta di realismo magico di sapore arcaizzante e metafisico

Il suo stile spazia dal cubismo, al tonalismo, a forme realistico-espressioniste: Gianfranco Contini parla ad esempio di «pittura espressionistica» in una lettera a Carlo Emilio Gadda[8] Importante in questo periodo la sua partecipazione all’attività di Corrente di Vita. Le opere di Pirandello diventano pregevole testimonianza di un poeta che interpreta in pittura lo spirito indagatore e psicologico del padre Luigi.

Pirandello evolve il suo stile intorno agli anni cinquanta, riassorbendo le suggestioni dei modelli cubisti (Braque e Picasso), vivendo la difficile fase di travaglio che coinvolge tutta la pittura italiana, tra realismo e neocubismo, per giungere, attraverso deformazioni di tendenza espressionistica, a originali soluzioni formali a mezzo tra astrazione e figurazione[10] La sua pittura ricerca una nuova definizione in cui si avverte molto forte il riferimento a una sintassi cubista nelle tassellature del colore e nelle composizioni in cui il dato narrativo perde via via importanza.

Numerose sono le mostre ed esposizioni tenute dall’artista nel corso della sua vita pittorica, dalle collettive alla Biennale di Venezia e alle Quadriennali romane, alle personali presso la Galleria della Cometa, Galleria del Secolo, Galleria di Roma. Tra le occasioni espositive del dopoguerra, da ricordare sono la vasta antologica all’Ente Premi Roma nel 1951, la personale del 1955 alla Catherine Viviano Gallery di New York e la personale alla Nuova Pesa di Roma, nel 1968.

Enrico Prampolini, artista italiano del novecento, autoritratto

Enrico Prampolini

Enrico Prampolini

Enrico Prampolini, artista italiano del novecento, autoritratto

Enrico Prampolini nasce a Modena il 20 aprile 1894.
Nel 1912 parte dalla sua città natale alla volta di Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove ha come maestro Duilio Cambellotti.

Si avvicina subito alla poetica futurista, divenendone uno dei rappresentanti più importanti; stringe amicizia e espone con Balla e Boccioni. Nel ’15, grazie all’incontro con Tzara, si avvicina al movimento Dada, esponendo anche in Svizzera.

Nel 1917, insieme a Bino Sanminiatelli, Enrico Prampolini fonda la rivista Noi, tra le quali pagine accoglie le più importanti personalità del tempo.

Tra il 1925 e il 1934 risiede a Parigi; durante questi anni firma prima il Manifesto dell’architettura futurista (1926), e poi quello dell’Aeropittura; espone inoltre con altri pittori futuristi alla Biennale di Venezia. Parallelamente fonda il Teatro della pantomima futurista, a riprova dell’ecletticità del maestro.

Nel 1939 viene chiamato per la decorazione di alcune sale dell’esposizione universale negli Stati Uniti
Gli anni 40 vedono il ritorno di Enrico Prampolini a Roma, dove nel 1945 fonda l’Art Club.
Gli ultimi anni sono caratterizzati dall’avvicinamento alla poetica dell’informale, e dalla partecipazione a varie mostre, tra le quali ci sono: Arte Astratta e Concreta in Italia e Astrazione plastica X entrambe alla Galleria Nazionale di Roma.

Enrico Prampolini muore nel 1956 a Roma.

Antonietta Raphaël, artista italiano del novecento

Antonietta Raphaël

Antonietta Raphaël

Antonietta Raphaël, artista italiano del novecentoAntonietta Raphaël nasce il 29 luglio 1895 a Kovno.

In seguito alla morte del padre, avvenuta nel 1905, si trasferisce con la madre a Londra. Qui si dedica alla musica e si diploma in pianoforte alla Royal Accademy.

Nel 1924 decide di abbandonare la città inglese; inizialmente si stabilisce per alcuni mesi a Parigi, per poi spostarsi a Roma. Un anno dopo il suo arrivo decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti, dove incontra Mario Mafai, di cui ne diviene la compagna.

Nel 1929 Antonietta Raphaël espone per la prima volta alla I Mostra del sindacato fascista degli artisti, al Palazzo delle Esposizioni.

Tra il 1930 e il 1933 vive tra Londra e Parigi, dove anche grazie alla frequentazione con Jacob Epstein, decide di dedicarsi alla scultura.

Tornata stabilmente a Roma, Antonietta Raphaël ha modo di continuare il suo lavoro come scultrice e frequenta lo studio di Ettore Colla. Nel ’39 Antonietta e Mario Mafai si devono trasferire a Genova per sfuggire alle persecuzioni raziali perpetrate dal governo italiano.

Finita la guerra, e dopo un altro soggiorno a Genova, l’artista viene finalmente invitata a partecipare alla più importanti rassegne italiane: nel 1948 espone Le tre Sorelle, un’opera in gesso, alla Biennale di Venezia; nel 1951 prende parte alla Quadriennale di Roma con quattro sculture.

Gli anni 50 sono contraddistinti da un importante viaggio in Cina, con una delegazione di artisti italiani, e da molteplici mostre internazionali.

Nel 1960 le viene dedicata una prima monografia, scritta da Valerio Martinelli. Nel ’65 muore il marito Mario Mafai. A seguito del lutto ricomincia una frenetica attività pittorica, dovuta anche alla malattia che le rende difficoltoso lo scolpire. Nel 1970 le sue opere vengono scelte per partecipare a una mostra itinerante in vari paesi europei e americani.

Antonietta Raphaël Muore a Roma il 5 settembre 1975.

Giuseppe Rivaroli

Giuseppe Rivaroli

Giuseppe RivaroliGiuseppe Rivaroli nasce a Cremona nel 1885. Nel 1928 a Roma affresca la Sede del Ministero della Marina con due opere monumentali, quali Roma trionfante e Roma vittoriosa sul mare. Nel 1932, sempre a Roma, lavora per due mesi alla grande decorazione dell’Istituto Internazionale di Agricoltura: una gioconda esaltazione allegorica dell’Agricoltura, della vita campestre, della solida famiglia; tutta la scena, che ha per sfondo una tenue e placida visione dell’Agro interrotta da uno scapigliato ciuffo di pini, è piena di movimento e vivacità in un giuoco di luci, di scorci, di panneggi, di preziosità di messi, di frutta, di fiori ed è notevole soprattutto per i molti nudi, in cui si apprezza lo studio accurato degli atteggiamenti delle mani,dei piedi messi con bella franchezza in continua evidenza. Dopo aver eseguito questi capolavori a Roma ed aver lavorato anche in altre città d’Italia, Rivaroli ebbe una fama ben merita­ta e grande considerazione di critica e di pubblico finché fu in vita, ma gradualmente e molto ingiustamente il suo nome compar­ve sempre meno nella scena della critica d’arte. Visse a Roma per trentasette anni al 33 di via Margutta, lo stesso numero civico dove avevano dimorato artisti quale Sartorio, Coleman, Carlandi e Costa, i quali, prima di lui e sempre nell’Agro Romano, avevano fatto lo stesso percorso fisico e spirituale, la stessa ricerca di colori, immagini, suoni ed emozioni trasmessi nelle loro opere ormai di livello museale. La pittura di Rivaroli non è mai oscura, vive di luce propria, quella luce che lui stesso riesce a trasportare nei soggetti che più amava dipingere: gli uomini, gli animali, la campagna.

Pippo Rizzo, artista italiano del novecento

Pippo Rizzo

Pippo Rizzo

Pippo Rizzo, artista italiano del novecento

Nato a Corleone, in provincia di Palermo, si trasferì nel capoluogo siciliano per frequentare l’Accademia dove fu allievo di Ettore De Maria Bergler. Conobbe il futurismo in un suo viaggio a Roma. Ne rimase affascinato e ad esso improntò le sue opere successive, fondando anche un cenacolo futurista nel suo paese natale. A Palermo entrò in sodalizio con Vittorio Corona e Giovanni Varvaro. Fu il capofila del futurismo siciliano, a stretto contatto con Marinetti, e organizzò l’Esposizione nazionale futurista a Palermo nel 1927.

Logo per il Palermo calcio del 1929
I suoi lavori sono stati esposti per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1926 e ancora nel 1928. Nel 1929 diviene Segretario del Sindacato fascista degli artisti siciliani. È suo il logo del Palermo Calcio del 1929. A partire dal 1930 si allontana dal Futurismo per avvicinarsi alle tematiche novecentiste, seguendo la svolta di Carlo Carrà, che espresse nella partecipazione alla quadriennale di Roma nel 1931.

Nel 1936 viene nominato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. Suoi lavori sono esposti alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo[4] e alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Tra gli allievi di Pippo Rizzo vi furono Gino Speciale, Giovanni Varvaro e Renato Guttuso. Alcuni giovani artisti siciliani frequentarono assiduamente il suo studio; tra loro Lia Pasqualino Noto, Giovanni Barbera e Nino Franchina che, insieme a Renato Guttuso, formarono il Gruppo dei Quattro.

Negli anni Cinquanta nascono i suoi omaggi ai “paladini”. Dal 1960 al 1962 è direttore dell’Accademia di belle arti di Roma[6]. Negli ultimi anni della sua vita riprese con entusiasmo ad esprimersi con la scultura, così come aveva fatto durante la givinezza, in forme fantasiose con il marmo, l’alabastro e l’ottone. Fu organizzatore vivace di molte manifestazioni artistiche e scopritore di giovani talenti. Rizzo è ricordato anche per i celebri ritratti di carabinieri. Nel 1991 gli è stato intitolato il museo civico di Corleone.

.

Ottone Rosai. pittore italiano

Ottone Rosai

Ottone Rosai

Ottone Rosai. pittore italiano

Figlio di un artigiano, conseguito il diploma all’Istituto Statale d’Arte frequenta l’Accademia di Belle Arti, da cui viene espulso dopo pochi anni per cattiva condotta. Prosegue pertanto come autodidatta, e in questo periodo sono significativi gli incontri con Giovanni Papini e soprattutto con Ardengo Soffici, che lo avvicina all’arte futurista e al movimento di Marinetti. Da qui traggono ispirazione le sue prime opere (Bottiglia + zantuntun, 1912). Prima del rigore pittorico degli anni venti e trenta, alla fase futurista si alterna un breve periodo cubista (Paesaggio, 1914).

Aderendo al futurismo, si arruola come volontario nel Regio Esercito e partecipa alla prima guerra mondiale ricevendo due medaglie d’argento. Alla fine della guerra, il rientro nella società è difficile e Rosai trova nelle nuove idee del giovane Mussolini l’entusiasmo e lo slancio che cercava per opporsi alla borghesia e al clericalismo che tanto detesta.

In questo periodo la sua pittura ritrae persone della sua famiglia, nature morte o figure di anziane tristemente sedute. Nel novembre 1920 tiene la sua prima esposizione personale a Firenze. Nel 1922 la sua vita è segnata dal suicidio del padre, annegatosi in Arno per debiti. Nei suoi scritti giovanili rivela di sentirsi colpevole di quella morte, e di dover vivere due vite, la sua e quella del padre. Per risanare la difficile situazione economica della famiglia, è infatti costretto a rilevare la bottega di falegnameria del padre e a diradare la sua attività pittorica.

Negli anni trenta il disagio esistenziale di Rosai lo conduce a vivere in luoghi isolati, lontani dalla comunità, e la sua pittura si carica di collera e di pessimismo; i suoi autoritratti delineano una figura di artista tormentato e dolente, ma nel 1932 arriva la sua consacrazione a pittore di primo livello con una personale a Palazzo Ferroni, nella sua città. Fanno seguito numerose altre esposizioni in altre città, fra cui Milano, Roma, Venezia. Nel 1939 viene nominato professore di figura disegnata al Liceo Artistico, e nel 1942 gli viene assegnata la cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Firenze.

Dopo l’8 settembre 1943, Rosai viene fatto oggetto di una brutale aggressione, questa volta da parte di antifascisti che vedono in lui un sostenitore del regime ma ne ignorano le umiliazioni subite dai gerarchi. Nel 1944 gli fu portato in casa Bruno Fanciullacci, ferito; l’omicidio da questi compiuto ai danni del filosofo Giovanni Gentile sollevò l’indignazione di Rosai che subito gli rinfacciò «Bella impresa uccidere un povero vecchio»

Nel 1949-1950, Rosai aderisce al progetto dell’importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre a un autoritratto, l’opera I muratori; la collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì.

Negli anni cinquanta comincia a farsi conoscere in ambito internazionale, partecipando a rassegne in città come Zurigo, Parigi, Londra, Madrid. Un’esposizione organizzata a Firenze viene riproposta poi nei musei di molte città tedesche.

A Firenze nel 1954 dipinge e dona gratuitamente, in seguito all’iniziativa del Comitato per l’estetica cittadina di rinnovare gli antichi tabernacoli in rovina con opere di artisti contemporanei, una Crocifissione, la quale testimonia il perdurare dell’interesse di Rosai per la tradizione tre-quattrocentesca toscana: Giotto e Masaccio sono ancora i punti di riferimento di un linguaggio che si è fatto tuttavia,con gli anni, sempre più aspro e scontroso, esasperando la propria radice espressionista. Rosai riduce ormai la pittura a un groviglio di segni brutali e adotta una cromia dai toni sordi e cupi, stravolgendo le fisionomie in maschere di un crudo primitivismo. Ciò che negli anni venti e trenta, gli anni di “Strapaese”, aveva significato per lui un recupero di semplicità, brutale sì, ma piena di sanguigno vigore, lascia il posto, nel dopoguerra, al desolato squallore di un universo pittorico che non sembra trovare sollievo neanche nella fede e mette in scena una sacra rappresentazione di raggelante forza espressiva.

Durante una collettiva allestita nella città di La Spezia, stizzito dal giudizio non benevolo sui suoi quadri a confronto di quelli del “giovane” pittore Gualtiero Passani (Carrara 1926-Lucca 2019) che nell’occasione attiravano maggiormente l’interesse del pubblico, con rabbia conficcò il sigaro acceso in un suo quadro, accompagnando il gesto con una serie di imprecazioni alla volta del gallerista, colpevole a suo dire di aver disposto le opere del Passani di fronte alle sue. Sembra che fu tanta la sua rabbia, al punto di rifiutarsi di ritirare l’invenduto a fine mostra. Sempre in quel periodo, violentando in qualche modo la propria indole scontrosa e oltremodo riservata, si fa affiancare da alcuni giovani artisti permettendo loro una piena collaborazione, Bestetti ad esempio; un sodalizio anomalo, che ha vita assai breve.

A Venezia, in occasione della XXVIII edizione della Biennale d’arte di Venezia del 1956, viene allestita una grande retrospettiva della sua opera.

Nel 1957, mentre cura ad Ivrea l’allestimento di una sua personale, muore colto da infarto. È sepolto nel cimitero delle Porte Sante in Firenze.

Quirino Ruggeri, artista del novecento italiano

Quirino Ruggeri

Quirino Ruggeri

Quirino Ruggeri nasce a Albacina di Fabriano, Ancona, il 24 marzo 1883.
Lascia l’Italia con la famgilia per stabilirsi in Argentina, dove inizia a lavorare come sarto.

Nel 1920 decide di tornare in patria e di stabilirsi a Roma. Qui si avvicina alla scultura, studiando per due anni con Arturo Dazzi .
Si avvicina a Valori Plastici grazie alla frequentazione con Mario Broglio, conosciuto al Caffè Aragno. Nel 1922 espone alla Primaverile Fiorentina.

Nel 1927 tiene un personale XCIII Esposizione degli amatori e cultori di belle arti di Roma e successivamente partecipa alla I sindacale romana. In occasione di questa mostra le opere di Ruggeri vengono notate dal famoso storico dell’arte Roberto Longhi.

Nel 1934 è presente alla Biennale di Venezia, l’anno successivo è protagonista con una sala personale alla seconda Quadriennale di Roma, e successivamente viene invitato ad esporre alla mostra “L’art italien des XIX et XX siècles” di Parigi.
Negli anni antecedenti al secondo conflitto dedica una serie di sculture ai ritratti delle più importanti personalità politiche.
Con la fine della guerra Ruggeri lascia la scultura per dedicarsi esclusivamente alla pittura astratta.

Muore a Roma 12 giugno 1955.

Cagnaccio di San Pietro, ritratto

Cagnaccio di San Pietro

Cagnaccio di San Pietro

Cagnaccio di San Pietro, ritrattoCagnaccio di San Pietro, pseudonimo di Natalino Bentivoglio Scarpa (Desenzano del Garda, 14 gennaio 1897 – Venezia, 26 maggio 1946), è stato un pittore italiano.

Allievo del pittore Ettore Tito all’Accademia di belle arti di Venezia, partecipa già negli anni Dieci del XX secolo alle mostre di Ca’ Pesaro con Gino Rossi, Tullio Garbari e Felice Casorati.

Avvicinatosi al futurismo, Cagnaccio di San Pietro se ne allontana dopo breve tempo, spostando la sua attività su formule figurative tradizionali (“ritorno all’ordine”). Si accosta quindi al Realismo magico.
Intorno al 1920 definisce il suo stile più caratteristico: una forma compatta e precisa che, oltre che con la Nuova Oggettività, ha contatti con il Novecento al quale però non aderisce mai.

La sua salute è minata da un male incurabile che lo consumerà progressivamente e lo porterà alla morte a quarantanove anni. È un male di cui Cagnaccio di San Pietro è ben consapevole e che lo spinge a staccarsi dalla vita sociale e artistica, anche se continua a dipingere anche negli anni di guerra e spesso si ispira alla realtà dell’ospedale: malati, dottori, infermiere, medicine. Dal 1940, comunque, mosso da uno slancio mistico, aggiunge alla sua firma la sigla S.D.G (Soli Deo Gloria, A gloria del solo Dio).

Enrico Sacchetti, artista italiano del novecento

Enrico Sacchetti

Enrico Sacchetti

Enrico Sacchetti, artista italiano del novecento

Nel 1877 Enrico Sacchetti nasce a Roma, perché il padre Giuseppe, amico dei Macchiaioli, impiegato al Ministero della Guerra si era trasferito da Firenze nella nuova Capitale.
Studia al Collegio militare e si diploma poi in fisica matematica. Impiegato in uno studio d’ingegneria, non resiste e si traferisce a Firenze. Sono anni di fame descritti in Vita d’Artista (Premio Bagutta 1935), biografia del suo amico di gioventù, lo scultore Libero Andreotti. Le sue prime opere furono cartoline con caricature di musicisti famosi. Collabora a «Il Bruscolo» di Vamba, e a «La Nuova Musica». È chiamato a Milano nel 1903 da Umberto Notari, per collaborare a «Verde Azzurro», giornale di breve vita. Con Notari, scrittore e vulcanico editore, lavorò sempre, illustrando anche lo scandaloso Quelle signore (1904), o La donna tipo tre (1929). A Milano lavora per la rivista «Poesia» di F.T. Marinetti, di cui illustra anche Le Roi Bombance (1905). Sempre per Notari disegna caricature per «Il Teatro Illustrato». Partecipa a mostre di caricature a Torino (1907) e a Milano (1908). Collabora con «La Lettura» supplemento del «Corriere della Sera», per il quale lavorò anche dal 1912 al 1936 e nel 1940 – 41. È invitato a lavorare a Buenos Aires, dove vivrà fino al 1911. Raggiunge poi a Parigi Andreotti. Comincia a lavorare per la SartoriaWorth dipingendo ventagli, uno dei quali fu acquistato da Ida Rubinstein.
Pubblica i suoi disegni di moda, «Robes et femmes», nel 1913. Collabora a «LaVie Parisienne
» e a «La Gazette du bon ton». Una mostra di tutti gli illustratori di questa rivista si tiene a
Parigi e a Londra. Con la guerra torna in Italia, partecipa alla Mostra degli Italiani residenti all’estero (Firenze 1915), con Brunelleschi, Dudovich e altri. Collabora al 420 di Nerbini, al
«Mondo», al «Secolo XX», al «Numero». Lavora per G. Antona Traversi, responsabile della propaganda per la IIIA Armata, disegnando caricature antiaustriache e antitedesche per «Gli Unni e gli Altri» (1918-1920), e collaborando a «La Tradotta», giornale per le truppe. Stampa due mazzi di carte nazionali, e a Londra, cartoline antitedesche. Nel 1920 pubblica Loro, repellente galleria di ritratti di prigionieri austriaci, presentato da Ugo Ojetti. Si sposa con Anna, violoncellista boema ungherese, conosciuta in Argentina. Nel 1917 nasce il loro unico figlio, Dino. Nel
1920 tiene la sua prima mostra individuale alla Galleria Pesaro di Milano. Vittorio Pica invita
Sacchetti e Cappiello alla Biennale di Venezia del 1922. Inizia a scrivere incoraggiato da Ojetti.
Nel 1936, a Roma, è esposta una scelta di suoi disegni, ed è incluso nella Prima mostra del
Cartellone. Oltre ai manifesti pubblicitari, lavora anche per la propaganda di regime. Nel 1941 muore Dino, spinto a partire volontario dal padre, sul fronte greco-albanese. Ha un crollo, ma le sue idee non mutano, aderisce infatti alla Repubblica Sociale. Nel dopoguerra disegna paesaggi e scrive, Capire (1947), La Bottega della Memoria (1953). Negli anni ’50 espone a
Milano (Gall. Cairoli 1957) e a Firenze (Gall. Spinetti, 1958, con prefaz. Di Ardengo Soffici).
Riceve dall’editore Garzanti la medaglia d’oro per l’illustrazione. Il 30 dicembre 1967, a 90 anni, si suicida, forse per una delusione amorosa.

.

Alberto Savinio, artista italiano del novecento

Alberto Savinio

Alberto Savinio

Alberto Savinio, artista italiano del novecentoAlberto Savino, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, nasce ad Atene il 25 agosto 1891.
Terzo figlio di Evaristo de Chirico, ingeniere ferroviario e fratello di Giogio de Chirico.
Studiò pianoforte e composizione al conservatorio di Atene diplomandosi nel 1903.
Dopo il lutto paterno nel 1905 la famiglia si trasferisce a Monaco di Baviera.
A causa dell’insuccesso delle sue composizioni nel 1911 si trasferì a Parigi dove entrò in contatto con personalità quali Pablo Picasso, Blaise Cendras, Francis Picabia, Jaen Ccocteau, Max Jacob e Guillaume Apollinaire.
Nel 1914 pubblica “Les chants de la mi-mort” per la rivista Les Soirees de Paris utilizzando per la prima volta lo pseudonimo di Alberto Savino.
Nel 1915 torna in italia con il fratello Giorgio e allo scoppio dell prima guerra mondiale vengono arruolati nel 27° reggimento di fanteria a Ferrara, per poi essere trasferito a Salonicco come interprete.
Nel 1923 si trasferisce a Roma dove fu tra i fondatori della ” Compagnia del teatro dell’Arte” diretta da Luigi Pirandello e per la quale scrisse, senza però metterlo in scena, Capitano Ulisse.
Dopo il matrimonio con Maria Morino, dalla quale ebbe due figli, e dopo un altro breve soggiorno a Parigi, nel quale si dedico particolarmente alla pittura, si stabilisce definitivamente a Roma nel 1934.
Collaboro con “La Stampa” e con riviste quali “Colonna” e “Il Bolletto”.
Nel 1938 Andrè Breton publica “Anthologie de l’humour noir” nel qual include anche Alberto Savino (unico italiano).
Forse a causa di un pezzo di satira su Leopardi ( Il Sorbetto di Leopardi ), publicato nel 1939 sul settimanale Omnibus di Leo Longanesi, che gli costò le antipatie del regime, nel ’43 fu costretto a nascondersi avendo appreso che il suo nome era su una lista di sospetti antifascisti.
Europeista convinto, alla fine del conflitto proseguì l’attività di critico culturale sulle colonne del “Corriere della sera”, ottenendo il Premio Saint Vincent per il giornalismo nel 1949.
Lavorò anche come drammaturgo e regista, scrivendo egli stesso opere e drammi per il teatro. Nel 1951 scrisse la “tragicommedia mimata e danzata” Vita dell’uomo, allegoria dell’esistenza umana su una musica ispirata allo stile di Schumann. Nel 1952 propose per il Maggio Musicale Fiorentino una celebre messinscena dell’Armida di Rossini con Maria Callas, curando anche scenografie e costumi.
Morì a Roma il 5 maggio 1952.

Giulio Aristide Sartorio, artista del novecento italiano

Giulio Aristide Sartorio

Giulio Aristide Sartorio

Giulio Aristide Sartorio nasce a Roma l’11 febbraio 1860.
Si forma inizialmente in ambito familiare, essendo sia il padre che il nonno artisti, e solo successivamente frequanta l’Accademia di Belle Arti.

Dopo un primo periodo alle dipendenze di artisti e architetti già affermati, nel 1879 riesce ad aprire il proprio studio e iniziare la sua carriera personale.
Nel 1882 collabora, come illustratore, con la Rivista Cronaca Bizantina, e con Gabriele D’Annunzio per l’editio Picta di Isaotta Guttadauro. Due anni dopo si reca a Parigi dove ha modo di osservare le residenze fatte costruire nel passato dai regnanti di Francia e dove visita il Salon; la visita di quest’ultimo influenza molto la visione artistica di Sartorio. Nel 1889 espone, sempre nella capitale francese, I Figli di Caino, all’Esposizione Universale, con il quale vince la medaglia d’oro.
Rientrato in Italia, Sartorio mostra di aver subito il fascino della pittura della scuola di Barbizon, iniziando a dipingere paesaggi molto intensi.

Parallelamente alla pittura di paesaggio, l’artista di dedica anche una a una produzione afferente alla corrente simbolista: questo è il caso del dipinto Le Vergini savie e le Vergini folli, commissionato dall’importante mecenate Giuseppe Primoli.
Tra il 1893 e il 1894 compie un lungo viaggio in Inghilterra, nel quale può osservare la pittura preraffaellita; incontrandone gli esponenti più importanti Edward Burne-Jones e William Morris.

Nel 1896 il Granduca Carlo Alessandro di Sassonia lo vuole come insegnante per la Scuola di Belle Arti di Weimar. Sartorio ha comunque il tempo per dedicarsi all’attività pittorica e di visitare le maggiori città tedesche.
I primi anni del nuovo secolo espone, nuovamente, all’Esposizione universale di Parigi, all’Esposizione internazionale d’arte a Venezia e all’Esposizione nazionale di belle arti a Milano.

Nel 1908 riceve l’incarico di decorare la nuova sala a Palazzo Montecitorio, dove ha l’intento di esaltare la storia d’Italia; il lavoro viene completato nel 1913.
Con lo scoppio del primo conflitto mondiale Sartorio di arruola volontario, poco dopo esser stato ferito viene fatto prigioniero e detenuto in Austria; solo grazie all’intervento del Pontefice viene liberato.
Gli ultimi anni della sua vita sono un susseguirsi di mostri e viaggi per il mondo.

Muore a Roma il il 3 ottobre del 1932.

Antonio Scordia

Antonio Scordia

Antonio Scordia

Antonio Scordia nasce a Santa Fè, in Argentina, il 16 agosto 1918.
All’età di tre anni si trasferisce a Roma. Qui si appassiona all’arte e dal 1938 al 1936 segue i corsi all’Accedemia di Francia, iniziando poi a collaborare con alcuni giornali.

Durante il secondo conflitto mondiale, chiamato alle armi, viene mandato sul fronte greco.
Finita la guerra espone un nucleo di prime opere, ispirate dalla poetica della Scuola Romana, alla Galleria del Secolo. Nel 1947 torna a risidere in Argentina con la moglie, dove si dedica alla ceramica e collabora con riviste locali.

Dopo due anni torna in Europa dove soggiorna nelle più importanti capitali, come Parigi e Londra. Nel ’53 per la prima volta espone alla Biennale di Venezia, mentre due anni dopo gli viene dedicata una sala personale. Continua a partecipare a mostre in tutto il mondo, nel ’59 si reca in Spagna dove rimane affascinato dalla pittura di Velazques. Negli anni 60 continua l’attività pittorica, e si dedica anche alla scenografia, collaborando nel 1969 con Fellini nel Satyricon.
Gli vengonono dedicate due grandi antologiche: a Palazzo Barberini a Roma, e al Padiglione d’Arte Contemporanea al Parco Massari di Ferrara.
Negli ultimi anni si susseguono mostre e premi importanti.

Muore a Roma nel 1988

Scipione (Gino Bonichi)

Gino Bonichi (Scipione)

Scipione (Gino Bonichi)Gino Bonichi (noto con lo pseudonimo di Scipione, usato per la prima volta nel 1927 in occasione di un’esposizione all’Opera cardinal Ferrari a Milano) nacque a Macerata il 25 febbraio del 1904. Nel 1919 si trasferì con la famiglia a Roma e nello stesso anno si manifestarono i primi segni della tubercolosi, per cui fu ricoverato in sanatorio, dove rimase fino al 1924.

Le prime opere, collocabili intorno al 1924, sono caricature realizzate per puro divertimento, poi avviene l’incontro con Mario Mafai che lo spinge a frequentare la scuola libera del nudo dell’Accademia di Belle Arti. Il loro maestro è Antonino Calcagnadoro.

L’esordio come pittore avviene in occasione della Biennale romana del 1925.

Nel 1928 Scipione fondò con Mario Mafai, Renato Marino Mazzacurati e Antonietta Raphaël la Scuola romana, detta “Scuola di via Cavour” (così coniata da Roberto Longhi) e che fu il primo nucleo della più famosa “Scuola Romana”.

Nel gennaio del 1929 si apre a Palazzo Doria una collettiva in cui Scipione espone accanto a Aldo Bandinelli, Gisberto Ceracchini, Francesco Di Cocco, Enzo Frateili, Mario Mafai, Andrea Spadini.

Nell’estate del 1929 un lungo soggiorno a Collepardo, nel frusinate, dona a Scipione vigore e maturità artistica.

Il periodo fino alla primavera del 1931 è intensissimo. In poco più di un anno l’artista dipinge i suoi capolavori: dal Risveglio della sirena (1929) e dalla Natura morta coltubino (1929) al Principe cattolico (1929) e alla Meticcia (1929); dai famosi paesaggi romani come Il Ponte degli Angeli (1930), PiazzaNavona (1930), Piazza San Giovanni in Laterano (1930) agli studi (1929) per i ritratti del Cardinal Decano (1929), all’Apocalisse (1930); agli Uomini che si voltano (1930), alla Cortigiana romana (1930).

Espone alle mostre sindacali (1929 e 1930), alla Biennale di Venezia (1930), alla Prima Quadriennale (1931) e nel novembre 1930 tiene una personale con Mafai alla Galleria di Roma di P.M.Bardi. Collabora con disegni e caricature all’ “Italia letteraria” (grazie alla profonda amicizia con Enrico Falqui), immagina copertine di libri, fonda insieme a Mazzacurati una rivista dal titolo battagliero, “Fronte”, che esce in due soli numeri nel 1931.

Muore a Arco di Trento il 9 novembre del 1933 a soli 29 anni.

Gino Severini, artista italiano del novecento

Gino Severini

Gino Severini

Gino Severini, artista italiano del novecentoGino Severini nasce a Cortona il 7 aprile del 1883.
Si trasferisce a Roma nel 1899, dove conosce Giacomo Balla che lo avvia alla pittura divisionista, che poi approfondì nel suo soggiorno di Parigi nel 1906.
A Parigi fu a contatto con Pablo Picasso, Georges Braque, Juan Gris e Guillaume Apollinaire, e partecipò al nascere e allo svilupparsi del cubismo.
Nonostante questa permanenza parigina, non interrompe i suoi contatti con l’Italia. Infatti, dopo aver aderito al movimento Futurista su invito di Filippo Tommaso Marinetti, è uno dei firmatari nel 1910 del manifesto della pittura futurista insieme a Balla, Boccioni, Carrà e Russolo.
Nel 1912 sollecita Umberto Boccioni e Carlo Carrà a raggiungerlo a Parigi dove, organizza la prima mostra dei futuristi presso la Galleria Bernheim-Jeune. In seguito partecipa alle successive esposizioni futuriste in Europa e negli Stati Uniti.
Nel 1913 a Londra, presso la Marlborough Gallery, è allestita la sua prima mostra personale che successivamente viene presentata alla galleria Der Sturm di Berlino.
Dal 1921, in cui pubblica il trattato “Du cubisme au classicisme” (Dal cubismo al Classicismo), Severini passa da un’estetica “cubofuturista” ad una pittura che si può definire “neoclassica” con influenze metafisiche, dimostrandosi buon termometro di un sentire diffuso in tutta Europa dopo il grande trauma del primo conflitto mondiale.
Questa evoluzione classicista, rientra pienamente in quella tendenza, al suo interno molto variegata (che va da Picasso, a Derain, a De Chirico), che viene definita “ritorno all’ordine”, o in francese “rappel à l’ordre” (richiamo all’ordine), propensione analoga a quel “ritorno al mestiere”, introdotta da un famoso articolo di Giorgio De Chirico pubblicato nel 1919 nella rivista “Valori plastici”.
Dal 1924 al 1934, anche a seguito di una crisi religiosa, si dedica quasi esclusivamente all’arte sacra in grandi affreschi e mosaici, in particolare per le chiese svizzere di Semsales e La Roche.
Nel 1923 è presente alla Biennale romana e in seguito partecipa a due mostre del movimento artistico Novecento a Milano (1926 e ’29) e una a Ginevra (1929). Nel 1930 è selezionato per la Biennale di Venezia. Si trasferisce a Roma, dove partecipa alla Quadriennale nel 1931 e nel 1935, anno in cui vince il Gran premio per la pittura, presentando un’intera sala a lui dedicata.
Si trasferisce definitivamente a Parigi, dove avrà una cattedra di mosaico con Riccardo Licata come assistente.
Il 26 febbraio 1966 muore nella sua casa al n. 11 di rue Schoelcher. Il 15 aprile dello stesso anno le sue spoglie vengono traslate a Cortona, sua città natale.

Mario Sironi, artista italiano del novecento

Mario Sironi

Mario Sironi

Mario Sironi, artista italiano del novecento

La sua formazione avviene a Roma, dove si era trasferito con la famiglia all’età di un anno dalla natia Sardegna. Abbandona subito gli studi di ingegneria intrapresi solo un anno prima, per seguire le orme di suo padre Enrico deceduto quando aveva 15 anni. Nel 1903 Sironi inizia a seguire i corsi della Libera Accademia del Nudo di via Ripetta e a frequentare lo studio di Giacomo Balla. È incoraggiato a intraprendere questa strada sia da sua madre, l’ex cantante lirica fiorentina Giulia Villa, sia dallo scultore Ettore Ximenes e dal pittore divisionista Antonio Discovolo.

Negli ambienti artistici romani conosce tra gli altri Gino Severini e Umberto Boccioni col quale si lega in un profondo rapporto d’amicizia. Le illustrazioni pubblicate sull’«Avanti della Domenica» nel 1905, segnano l’esordio sironiano nel panorama artistico italiano. Tra il 1906 e il 1908, il giovane artista intraprende una serie di viaggi formativi, dapprima a Parigi, dove si trovava anche l’amico Boccioni, poi in Germania a Erfurt, al seguito dello scultore Felix Tannenbaum. Tornato definitivamente in Italia, complice il rapporto con Boccioni, Sironi si avvicina gradualmente al Futurismo, anche se non vi è una sua dichiarata adesione al movimento prima del 1913. Con Boccioni e gli altri artisti del gruppo, Sironi condivide anche l’esperienza bellica con l’arruolamento nel Battaglione Volontari Ciclisti Automobilisti allo scoppio del primo conflitto mondiale. Il 1916 vede pubblicato il primo articolo su Sironi firmato dall’amico Boccioni, che muore quello stesso anno, e un altro di Margherita Sarfatti. La prima personale dell’artista si tiene a Roma presso la Casa d’Arte Bragaglia nel 1919, poi, nel settembre dello stesso anno, Sironi si trasferisce definitivamente a Milano.

Gli inizi degli anni ’20 sono quelli delle celebri Periferie, le cui suggestioni evocano le impressioni del primo periodo trascorso nella nuova città, dove inizia a partecipare alle riunioni del fascio milanese. Tale adesione sfocerà nella piena e convinta militanza nel partito di Mussolini lungo tutto l’arco del Ventennio. Il 1920 è anche l’anno di pubblicazione del Manifesto futurista contro tutti i ritorni in pittura, firmato insieme ad Achille Funi, Leonardo Dudreville e Gianfranco Russolo, che anticipa in un certo senso la poetica del futuro gruppo del Novecento Italiano. Nello stesso periodo, Sironi inizia a collaborare con la rivista «Le Industrie Italiane Illustrate» e con il quotidiano mussoliniano «Popolo d’Italia», per il quale realizza le sue celebri vignette satiriche fino alla chiusura definitiva del giornale nel 1942.

Fondato l’anno precedente e coordinato da Margherita Sarfatti, il gruppo del Novecento Italiano esordisce nel 1923 con una esposizione presso la celebre galleria milanese di Lino Pesaro. Nel 1924 è poi la volta della Biennale di Venezia per i 6 artisti del Novecento, dietro invito di Vittorio Pica. Sironi torna successivamente a esporre alla Biennale nel 1928, protagonista stavolta di una mostra personale. Nel 1930 conosce Mimì Costa, destinata a divenire la sua compagna fino alla sua morte e per la quale due anni dopo lascerà sua moglie Matilde, sposata nel 1919 a Roma. La prima monografia sironiana, firmata da Agnoldomenico Pica, è datata 1955, mentre l’anno successivo l’artista è nominato accademico di San Luca.

Mario Sironi muore a Milano nell’agosto del 1961, in seguito alle complicazioni di una broncopolmonite che lo aveva costretto in un letto di ospedale.

Andrea Spadini

Andrea Spadini

Andrea Spadini nasce a Roma nel 1912.
Comincia la formazione artistica con il padre, Armando, affermato pittore.
Trasferitosi a Firenze, dal 1925 frequenta per quattro anni la scuola dello scultore Libero Andreotti, per poi studiare con Arturo Martini, divenendone assistente.

Nuovamente a Roma, nel 1929, partecipa a una mostra al Circolo di Roma presso Palazzo Doria con alcuni tra i più importanti pittori della scuola romana.

Continua gli studi nella capitale presso la Scuola libera del nudo e la scuola d’arte della medaglia.
Nel 1939 viene chiamato a lavorare per il Padiglione Italiano dell’Esposizione Universale di New York e nel ’40 per la chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

Terminato il secondo conflitto mondiale Spadini inizia a dedicarsi alla ceramica; inizia a collaborare con la Galleria dell’Obelisco, per il cui proprietario, Gaspero Del Corso, esegue il Lazzarone Napoletano.
Nel 1956 gli viene dedicata una mostra alla Sagittarius Gallery di New York; sulla scia del successo conquistato in America, Spadini firma un contratto con Tiffany & Co. Nel 1965 realizza l’orologio musicale del Central Park a Manhattan.
Muore a Roma nel 1983.

Fides Stagni, artista italiana del novecento

Fides Stagni

Fides Stagni

Fides Stagni nasce a Milano l’11 luglio 1904.

Inizia la sua formazione artistica in Emilia Romagna frequentando prima il liceo artistico, e poi l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
I suoi primi lavori sono afferenti alla poetica dell’aeropittura. Nel 1930 si trasferisce, con il marito, a Roma, dove inizia a lavorare, creando oggetti di arte decorativa, per la boutique di arredamento di Maria Monaci Gallega. Tre anni dopo partecipa alla Galleria Pesaro di Milano all’omaggio futurista a Umberto Boccioni. Nel 1934 tiene la sua prima personale alla Casa d’Arte Bragaglia, e negli anni successivi partecipa prima alla Quadriennale di Roma e poi alla Biennale di Venezia.

Nel 1958 dirige la Galleria d’arte Stagni.
Negli ultimi anni della sua vita abbandona la pittura futurista, continua ad esporre a varia mostre in Italia e parallelamente partecipa come attrice ad alcuni film di Pasolini e Fellini.

Muore a Roma nel 2002

Orfeo Tamburi, artista-italiano del novecento, autoritratto

Orfeo Tamburi

Orfeo Tamburi

Orfeo Tamburi, artista-italiano del novecento, autoritratto

Orfeo Tamburi, Disegnatore, pittore, giornalista italiano, nasce a Jesi nel 1910 dove consegue il diploma presso l’Istituto Tecnico nel 1926.

Grazie ad una borsa di studio, si trasferisce a Roma nel 1928 per iscriversi al Liceo Artistico di via Ripetta e in seguito all’Accademia di Belle Arti dove incontra Ennio Flaiano e Vincenzo Cardarelli.

Nel 1932 fa i primi passi come pittore esponendo alcune opere alla III Sindacale Laziale, l’anno dopo alla I Mostra Nazionale del Sindacato degli artisti di Firenze, poi espone al Bragaglia Fuori Commercio,

Dopo un soggiorno a Parigi dove, visitando musei e gallerie, scopre la pittura di Cèzanne, Orfeo Tamburi nel 1935 ritorna a Roma, partecipa alla II Quadriennale e si dedica soprattutto al paesaggio favorendo la sua fresca vena del disegno.

Nel 1936 ottiene l’incarico di effettuare un affresco nel Palazzo dell’Anagrafe dal titolo Carnevale romano, mentre continua a produrre ed a esporre, nel 1938 alla III Quadriennale, alla II Mostra milanese di “Corrente”, e, nel gennaio 1940, con il gruppo romano di Guttuso, Guzzi, Montanarini, Ziveri, Fazzini alla Galleria di Roma in una mostra significativa del nuovo clima “realista”.

Negli anni ’40 Orfeo Tamburi disegna figurini e scene per una ripresa de “La sacra rappresentazione di Abrham e Isaac” di Feo Belcari, viene incaricato di realizzare sei pannelli per l’atrio dell’EUR con la Storia del Teatro dalle Origini al Melodramma, di cui verranno realizzati solo i cartoni, è presente alla Biennale di Venezia, tiene una personale alla Galleria Barbaroux di Milano e Gino Severini gli dedica una piccola monografia.

Nel 1944 pubblica il volume di disegni Piccola Roma, con una poesia di Ungaretti e illustra anche le Passeggiate romane di Stendhal.

Dal 1947 Orfeo Tamburi si trasferisce a Parigi che dal quel momento diventa la sua città, e compie molti viaggi in Olanda, Belgio, Spagna, Londra, Napoli e Pompei, ritraendo alcuni paesaggi particolarmente suggestivi. mantenendo però sempre saldi i contatti con l’ambiente romano.

Nel 1948 il pittore è invitato ad esporre al Musée d’Art du Livre di Bruxelles, alla Galleria “Rive Gauche” di Parigi e l’anno dopo espone alla Galleria “Wolsenberg” di Zurigo e alla Galleria L’Athenée” di Ginevra.

Nel ’51 partecipa come attore protagonista al film “L’invidia” di Roberto Rossellini e negli anni seguenti, sempre ricercatissimo, Orfeo Tamburi viene invitato al Museum of Modem Art di San Francisco, alla “Landau Gallery” di Los Angeles, alla Galleria “L’ami des lettres” di Bordeaux.

Nel 1957 il pittore espone a New York alla “Sagittarius Gallery”e dall’inizio degli anni ’60, viaggia attraverso gli Stati Uniti come inviato speciale della rivista newyorkese “Fortune” per la quale dipinge 10 città americane.

Ormai famoso ed affermato come artista, Orfeo Tamburi nel 1964 dona alla Pinacoteca Civica di Jesi, numerosi disegni, guazzi, litografie e nel 1969 fonda il “Premio Città di Jesi – Rosa Papa Tamburi” dedicato alla madre.

Nel 1971 l’artista viene premiato con la Medaglia d’Oro di Prima Classe al Merito alla Cultura, dal Presidente della Repubblica, mentre le su opere si trovano nelle migliori gallerie d’arte in Italia, ma anche all’estero.

Nel 1974 viene allestita alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Ferrara, Palazzo dei Diamanti, una sua grande mostra antologica e l’anno dopo ottiene il Premio Internazionale “Città Eterna” a Roma, mentre a Jesi si svolge la prima edizione del “Premio Città di Iesi – Rosa Papa Tamburi”, concorso ideato dall’artista per incrementare la collezione d’arte Contemporanea del Comune.

Nel 1978 la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia organizza una sua mostra antologica delle opere di Orfeo Tamburi dal titolo «Il mio teatro», al Palazzo Frangini a Biglia di Sacile.

Nel 1979 l’Editions Denoël di Parigi ed Il Cigno Stamperia d’Arte di Roma collaborano alla pubblicazione di un’opera in tre volumi dal titolo «Paris 20+1» con testi di Nino Frank, Georges Pillement e Paul Guth che Orfeo Tamburi illustra con 105 disegni in bianco e nero e 21 incisioni in acquaforte e acquatinta a molti colori.
Nell’ultimo decennio della sua vita, il pittore viaggia molto, visita tra l’altro Spagna, Inghilterra, Grecia e Stati Uniti, in itinerari che colpiscono la sua immaginazione, riportando sulla tela e sulla carta, impressioni e immagini che daranno vita a nuove opere e al suo “Quaderno del pittore”.

Orfeo Tamburi muore a Parigi il 5 giugno del 1994 dopo essersi fatti un nome come pittore, attore, scenografo e scrittore.

Ettore Tito, artista del novecento italiano

Ettore Tito

Ettore Tito

Ettore Tito nasce a Castellammare di Stabia il 17 dicembre 1859.
Si sposta subito a Venezia, città di cui era originaria la madre. Nella città lagunare inizia i suoi studi all’Accademia di Belle Arti, avendo per maestro Pompeo Marino Molmenti.

La prima produzione pittorica dell’artista risente molto dell’influsso di Favretto e Mariano Fortuny. Nel 1887 esegue Pescheria Vecchia, quadro dal forte influsso favrettiano, che ottiene un grande successo, e che successivamente viene acquistato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Con il passare degli anni Tito si avvicina sempre di più alla grande pittura veneta del settecento che aveva modo di vedere dalle opere custodite in gallerie e chiese.

Durante l’arco dell’ultimo decennio del secolo, l’artista inizia a esporre in tutte Europa, nel 1893 conquista il primo premio alla mostra di Roma e nel 1900 vince, all’esposizione di Parigi, la medaglia d’oro.
Nel 1911, grazia all’opera Deposizione, che viene successivamente acquistata dal Museo di Bueno Aires, vince un altro prestigioso premio a Roma.

Proprio nella Capitale risiede tra il 1914 e il 1919, nello stesso anno gli viene dedicata una grande personale alla Galleria Pesaro di Milano.

Artisticamente Tito si occupa soprattutto di ritrattistica, subendo gli influssi di Giovanni Boldini e Sargent.
Nel 1929 viene nominato Accademico d’Italia e decora il soffitto della Chiesa degli Scalzi.
Nel 1936 partecipa alla sua ultima Biennale di Venezia

Muore a Venezia il 26 giugno 1941.

Renzo Vespignani, artista italiano del novecento

Renzo Vespignani

Renzo Vespignani

Renzo Vespignani, artista italiano del novecentoLorenzo, detto Renzo, Vespignani nasce a Roma il 19 febbraio 1924.
Cresce a Portonaccio, difficile quartiere nella periferia romana; durante l’occupazione tedesca decide di dedicarsi alla pittura e all’incisione.

Nel 1945 partecipa alla sua prima mostra a Roma, esponendo opere influenzate fortemente dagli artisti espressionisti tedeschi Grosz e Dix. Vespignani si dedica anche alla realizzazione di illustrazioni per numerose riviste. Nel 1956 è tra i fondatori della rivista Città Aperta, mentre tre anni dopo fonda con altri artisti il gruppo Il Portonaccio, con il proposito di realizzare opere direttamente ispirate ai quartieri popolari della capitale.
Durante gli anni 50 partecipa regolarmente alle Biennali di Venezia, e nel 1958 espone alla London Gallery di Los Angeles.

Dal 1969 Vespignani inizia i grandi cicli dedicati alla crisi e ai grandi cambiamenti mondiali che dopo il ’68 avevano contaggiato molti paesi: L’Imbarco per Citera, del 1969; L’Album di famiglia del 1971 e infine Tra le due guerre del 1973 – 1975.
Parallelamente alla sua produzione pittorica, l’artista di dedica anche all’illustrazione delle opere letterarie dei grandi autori, come Leopardi, Kafka e Boccaccio.

Durante questi anni è impegnato anche come scenografo.
Nel 1985 espone all’Accademia di Francia a Villa Medici, e nel 1999 viene eletto presidente dell’Accademia di San Luca.

Muore a Roma il 26 aprile 2001

Alberto Ziveri, artista italiano del novecento

Alberto Ziveri

Alberto Ziveri

Alberto Ziveri, artista italiano del novecentoAlberto Ziveri nasce a Roma nel 1908. Tra il 1921 e il 1929 frequenta il Liceo Artistico e la scuola serale di Arti ornamentali del San Giacomo. Sperimenta anche la scultura che gli serve per comprendere il senso del volume e della luce. Il mestiere lo apprende nella bottega dell’ affrescatore liberty Giulio Bargellini dove si lega d’amicizia con Guglielmo Janni, pittore di grande e raffinata cultura (è pronipote di Giuseppe Gioachino Belli), che lo spinge sulla strada della pittura. Nel 1928 esordisce con dei disegni alla XCIV Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti. Tra il 1928 e il 1930 soggiorna ripetutamente nei dintorni di Parma (città d’origine della famiglia paterna), dove studia Andrea Mantegna, Parmigianino e Correggio, e a Milano per compiere il servizio militare nel corpo dei Bersaglieri.
Nel 1931, frequentando la scuola Libera del Nudo conosce il giovane scultore marchigiano Pericle Fazzini, che diventa il suo migliore amico, ed insieme affittano uno studio. Agli inizi degli anni Trenta fa parte della nuova generazione artistica che, con Corrado Cagli, Renato Guttuso, Pericle Fazzini, Afro e Mirko Basaldella, gravita intorno alla Galleria di Dario Sabatello. Il giovane gallerista punta molto su di lui, gli organizza nel 1933 la prima personale, in cui riscuote un discreto successo di critica e nel 1935 lo inserisce nella “Exhibition of Contemporary Italian Painting” che, itinerante negli Stati Uniti, include artisti come Giorgio de Chirico, Gino Severini, Giorgio Morandi e Mario Sironi. Da questo momento prende parte a tutte le più importanti esposizioni in Italia e all’estero. Nel 1933 realizza una pittura murale in un interno della “Casa di Campagna per un uomo di studio”, realizzata da alcuni architetti romani, tra cui Luigi Moretti, per la V Triennale di Milano.
Nel 1935 alla II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma espone accanto ai programmatori del “tonalismo”: Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli, mentre la critica lo segnala tra le rivelazioni dell’esposizione. Il culmine della sua stagione tonale è costituito dalla personale nel 1936 nella Galleria della Cometa, fondata a Roma da Anna Laetitia Pecci Blunt, tra i suoi collezionisti.
Nel 1937 e nel 1938 è in Olanda, Francia, Belgio e Svizzera dove prende visione della pittura di Gustave Courbet, Eugène Delacroix, Rembrandt e Jan Vermeer ed osserva altre realtà. Nel 1938 alla XXI Biennale di Venezia avviene il suo esordio realista, che concorre ad aprire una nuova fase stilistica all’interno della scuola romana. D’ora in poi, come dichiara lo stesso artista nei suoi scritti, il realismo è la sua “morale”. Tormento, violenza e solitudine, traspaiono in immagini crudelmente quotidiane. Nascono così gli intensi Autoritratti , ritratti di soldati, mercati della carne, processioni religiose, attese senza tempo nei postriboli, amplessi vissuti come lotta, risse. Nel 1943 vince il terzo premio per la pittura alla IV Quadriennale di Roma con uno dei suoi capolavori, Giuditta e Oloferne e inoltre è richiamato alle armi. Nel 1946 alla Galleria di Roma tiene la prima personale con la nuova produzione. Vi presenta anche un nutrito gruppo d’incisioni, tecnica che va coltivando dal 1926, ma che dalla scoperta di Rembrandt si è caricata di tutt’altre potenzialità espressive. Nel 1952 l’editore Luigi De Luca gli dedica la prima monografia, con un saggio di Leonardo Sinisgalli. In piena deflagrazione tra “formalisti” e “realisti” si schiera dalla parte di quest’ultimi. Nel 1956 alla XXVIII Biennale di Venezia, Roberto Longhi lo definisce il maggiore realista italiano vivente, riconfermando questa consacrazione storica nella presentazione alla personale del 1964, che allestisce a Roma nella Galleria La Nuova Pesa. Le opere quasi tutte realizzate tra il 1957 e il 1964 presentano una nuova fase realista in cui il conflitto tra “romantico” e “classico” appare placato e risolto. Nel 1983 D. Durbè, M. Fagiolo e V. Rivosecchi raccolgono in un volume le sue incisioni. Gli stessi critici nel 1984 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna curano un’antologica sulla sua pittura, mentre nel 1989 Ziveri vince il Premio Viareggio-Rèpaci.
Muore a Roma nel 1990.