Fabrizio Clerici, Surrealismo e Pittura Fantastica in Italia

Fabrizio Clerici, Surrealismo e Pittura Fantastica in Italia

Una mostra promossa dalla Galleria del Laocoonte in collaborazione con la Galleria W. Apolloni

 

 

Dal 9 giugno 2022 in cinque sedi a Roma:

Galleria W. Apolloni – Via Margutta 53b
Gabinetto dei disegni – Via Margutta 53b
Spazio Laocoonte Antico/Contemporaneo – Via Margutta 81
Galleria Del Laocoonte – Via Monterone 13
Galleria Del Laocoonte – Vicolo Sinibaldi 5

 

Comunicato stampa

A Roma da giovedì 9 giugno al 31 ottobre 2022 Monica Cardarelli, titolare della Galleria del Laocoonte, e Marco Fabio Apolloni, erede e responsabile della galleria antiquaria W. Apolloni promuovono uno straordinario omaggio all’arte di Fabrizio Clerici, artista di grande importanza ammirato al di qua e al di là dell’Atlantico, di cui nel 2023 è prossimo il trentesimo anniversario dalla morte.
L’arte di Clerici espressa nei suoi ottant’anni di esistenza e la sua personalità hanno suscitato l’entusiasmo di grandi scrittori, tanto italiani quanto stranieri quali Mario Praz, Leonardo Sciascia, Alberto Savinio, Dino Buzzati, Vincenzo Consolo – che in abito settecentesco ne fece uno dei protagonisti del suo romanzo “Retablo”- ed ancora Jean Cocteau, Julien Green, Marcel Brion, Dominique Fernandez, tanto per nominare i maggiori.

 

Clerici, autentico spirito aristocratico e schivo e artista veramente originale, si è sempre tenuto lontano dalla gazzarra carnevalesca delle neo-avanguardie, e non poteva non essere avversato dagli ignoranti critici del contemporaneo, quanto amato, invece, dai più colti storici dell’arte d’Italia – Giuliano Briganti, Federico Zeri, Vittorio Sgarbi – ai cui occhi raffinati non potevano sfuggire le affettuose e intelligenti assonanze con la cultura figurativa del passato.
La mostra si articola in cinque distinte location per celebrare un artista di grande importanza non solo per Roma, che ha saputo celebrare e glorificare da par suo, ma anche e soprattutto per la maniera elegantissima con cui è riuscito a intrecciare la propria italianità nell’ordito del gran gusto cosmopolita dall’immediato dopoguerra in poi.

La grande pittura di Fabrizio Clerici – GALLERIA W. APOLLONI – Via Margutta 53/B

Nel contesto della galleria d’antiquariato W. Apolloni in Via Margutta 53/b, già studio di scultura di Palazzo Patrizi, tra mobili e oggetti antichi sarà possibile ammirare il vasto dittico “Pro-Menade” (1973), dove il cavallo bronzeo dell’Artemision – un capolavoro ellenistico recuperato in mare, ora al Museo Nazionale di Atene – irrompe arroventato nella solitudine metafisica di una stanza vuota, raggiungendo una potenza d’immagine sovrannaturale, come se il demone equino de “L’Incubo” di Füssli fosse stato ridipinto da Magritte. Un’altra pittura, “Labirinto” (1966), ripropone la mitologica architettura di Dedalo per Creta, al centro del quale Clerici aveva già inventato un anfiteatro e arena taurina convertita in tribunale, nel suo famoso “Minotauro che accusa pubblicamente sua madre” (1949) – di cui qui in mostra nella sezione della grafica – è presente una bellissima versione disegnata nel 1966. Tra le altre opere in mostra si segnalano i “Due Templi dell’uovo” (1956), architetture concentriche di grande suggestione, rovine di un remoto culto immaginario ideate dal visionario e preciso architetto che ha sempre abitato nella mente del Clerici Pittore e “Il S. Sebastiano” (1949), quasi una miniatura, tra le prime pitture di Clerici. In essa, nel martirio, la figura dell’arciere e del santo si confondono, l’uno quasi sosia dell’altro, mentre le frecce si conficcano non sul corpo di Sebastiano, ma sulla tela di una sua immagine dipinta.

 

Imperdibili oltre ad un “Autoritratto”, vi sono una “Cornucopia” che pare una degenerazione barocca di quei “grilli”, ovvero multiformi creature mostruose, rappresentate nelle gemme incise dell’antichità, che furono studiate da Jurgis Baltrušaitis nel suo “Medioevo Fantastico”. Non manca un “Omaggio a Dürer”, dove il famoso Rinoceronte inciso nel 1515 dall’artista tedesco, e ridisegnato da Clerici si specchia, come un Narciso incantato dalla propria catafratta bruttezza. In “Omaggio a Böcklin” gli arieti-sfinge del dio egiziano Ammone costellano un paesaggio in cui svettano i cipressi de L’isola dei Morti, un quadro che lungamente ossessionò Clerici negli anni ‘70 e ‘80.
Un grande disegno dipinto a biacca si trasforma in un finissimo bassorilievo: non a caso, perché questo “Naufragio dei Pulcinella” (1950), è preparatorio per un grande rilievo in stucco della Villa Cicogna a Venezia, di cui Clerici curò il rifacimento e la decorazione dal 1948 al 1954. Dell’impresa veneziana per la contessa Anna Maria Cicogna di Misurata, in cui Clerici fu architetto, artista e direttore di artisti, Monica Cardarelli pubblica in catalogo la lunga storia, ricostruita grazie all’inedito carteggio tra il pittore e la contessa per la prima volta integralmente pubblicato.

 

Concludendo le segnalazioni delle opere in mostra vi sono quattro paesaggi metafisici di stupefacente e inquietante bellezza: sono i bozzetti delle scene del balletto “Le Creature di Prometeo”, musicato da Ludwig van Beethoven per il coreografo Salvatore Viganò nel 1801. Clerici le realizzò per la versione messa in scena nel 1963 a Colonia e a Vienna dal coreografo Aurel Milloss.

…alle Cinque da Savinio – GABINETTO DEI DISEGNI – Via Margutta 53b

Nel Gabinetto dei disegni adiacente alla Galleria W. Apolloni di Via Margutta 53b vengono esposti i 39 disegni originali che hanno dato vita a quel capolavoro del divertissement culturale di Fabrizio Clerici che è “…alle cinque da Savinio”. I disegni, tracciati a mano libera, quasi sempre con un pennarello rosso fine, provengono da un unico taccuino preparatorio per la celebre pubblicazione affidata nel 1983 all’edizione di Franca May. Si tratta di disegni che fanno rivivere l’antica amicizia fra Savinio e Fabrizio Clerici, che di quel volume illustrato fu l’autore delle tavole e il committente.

Quando Clerici fece stampare il volume di illustrazioni “Alle Cinque da Savinio” con prefazione di Leonardo Sciascia, tutti videro, nel repertorio ornitologico in 48 tavole, in cui – uccelli di ogni razza interpretavano come in “tableaux vivants” le scene di vita quotidiana e le cerimonie di un’umanità borghese ormai scomparsa – un esercizio estremo nel genere dell’autoritratto: non nel rappresentare se stessi, ma tutti gli altri come se stesso.

 

Fabrizio Clerici, nato ventidue anni dopo Savinio, ebbe con lui un sodalizio di cui rimane concreta testimonianza scritta nell’introduzione con cui Savinio aveva accompagnato, nel 1942, dieci litografie di “Capricci”, che lo scrittore afferma in modo lusinghiero doversi guardare “col terzo occhio che al dire degli stoici ci portiamo al sommo del cervello, e col quale guardiamo i sogni”. Trent’anni dopo la morte dell’amico, Clerici si divaga di un inverno di malattia riempiendo un piccolo album di Scene di Vita di Volatili borghesi, ritratti alla maniera di Savinio, spesso in camere e sale metafisicamente spoglie, impegnati nella liturgia sociale di una belle époque che par precedere la Prima Guerra Mondiale.

 

La Grafica di Fabrizio Clerici – SPAZIO LAOCOONTE ANTICO/COONTEMPORANEO
Via Margutta 81

 

Nello spazio Laocoonte Antico/Contemporaneo è esposta una preziosa scelta di disegni e litografie di Fabrizio Clerici. L’opera più antica presente in mostra è un ironico “Autoritratto in veste di Generale Martinicano” (1932), in cui Clerici si presenta nella bizzarra uniforme di un caudillo da operetta.

Del 1942 sono invece una serie di litografie dal segno grasso che ricorda il fare di Savinio, tra le quali vi è la struggente “Fine degli Omenoni” che immagina la rovina dei giganti di pietra che reggono la facciata del palazzo milanese che fu dello scultore Leone Leoni.

 

 

Del 1945 è una coppia di meticolosi disegni a punta d’argento: “Cavolo Imperatore” dove una grande verza, dall’orlo delle foglie baroccamente arricciolate è posta su un elaborato piedistallo rococò. Altro disegno esposto è “Souvenir d’Italie”, dove alcuni dei più famosi dipinti d’Italia – Antonello da Messina, la Fornarina, il ritratto d’Alfieri di Fabre, Beatrice Cenci- vengono mostrati ridotti a brandelli. Non si era spento ancora l’eco della tragica battuta di Longanesi sulla distruzione d’Italia: “Ci stanno rovinando gli originali delle foto Alinari!”.

Per il “Satyricon” di Petronio, edito nel 1963, è una tempera di “Mostri” con maschere teatrali da commedia antica, mentre è del 1966 il disegno del “Minotauro che accusa pubblicamente sua madre”, terribile riflessione sul sentirsi “mostro” dalla nascita.

Nello stesso anno Clerici si dedica a illustrare l’“Orlando Furioso” dell’Ariosto, stampato poi nel 1967: preparatori per due tavole dell’opera, sono il disegno per la Cattura di Orlando pazzo, e quello per il Duello tra Bradamante e Marfisa.

Un grande disegno acquarellato, “Follia” (1968), segna l’inizio di un’epoca in cui, in Italia soprattutto, il sonno della ragione generò mostri ben più spaventevoli di quelli dell’Ariosto.

In ultimo si segnala il dittico “Chambre bien obscure” (1982) che fa il verso all’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, presentando delle tavole dedicate all’ottica perfettamente credibili, se non fosse che a disegnare sono rappresentati degli scheletri animati, scappati da qualche danza macabra per inquietare le scientifiche certezze dell’illuminismo. E ancora la grande tempera “Luce di Lessing” (1980), in cui la statua del Laocoonte celebrata dal filosofo tedesco nel 1766 viene sdoppiata in una delle più affascinati “variazioni sul tema” che Clerici ha dedicato al dolente capolavoro della scultura ellenistica.