Patrick Alò, Mitologia Meccanica

Patrick Alò, Mitologia Meccanica

La Galleria del Laocoonte ha l’onore di presentare “Mitologia Meccanica”, il meglio dell’opera finora prodotta dall’artista Patrick Alò (Roma 1975), in “bella mostra” in uno spazio a lui specificatamente dedicato, a confronto e a contrasto con i disegni preparatori per alcuni dei più importanti mosaici monumentali dell’Eur, nati dalla mano maestra di Gino Severini (Cortona 1883 – 1966) e di Giovanni Guerrini (Imola 1887-Roma 1972), pittore e architetto, inventore, tra l’altro, del “Colosseo Quadrato”, il Palazzo della Civiltà Italiana, che è l’edificio simbolo del complesso urbanistico che avrebbe dovuto ospitare l’Esposizione Universale del 1942.

L’accostamento non è arbitrario: mentre i disegni rappresentano un omaggio al genius loci dell’Eur, di cui la “Nuvola” vuol essere il contemporaneo completamento, l’arte di Patrick Alò si associa, a suo modo, all’opera degli artisti che vollero rielaborare i miti classici e della Roma antica per i fini propagandistici del regime che perse la guerra. Se questa rimane oggi come monito e memoria contro le manie di grandezza e il delirio di onnipotenza, l’arte di Patrick Alò, artista sensibilissimo e abile nell’assemblare i rottami della moderna civiltà industriale a comporre gli Dèi, gli eroi e i mostri dell’antichità, impone una profonda riflessione sulla sopravvivenza dell’antica mitologia nell’epoca moderna, sulla caducità della civiltà delle macchine, e sulla forte carica simbolica del “reimpiego” degli scarti tecnologici, per un fine non troppo diverso da quello per cui gli uomini del medioevo riutilizzavano i frammenti delle architetture classiche nei loro edifici contemporanei.

La mostra è visitabile online tramite VIRTUAL TOUR o su appuntamento, telefonando al numero 06 68308994

 

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Galleria del Laocoonte e W. Apolloni, Nuovo Spazio Antico/Contemporaneo, via Margutta 81
Orari: lunedì 16.00-19.00 | martedì–venerdì: 10.00-13.00 e 16.00-19.00 | sabato: 10.00-13.00

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Poeta nelle forme realizzate, Patrick Alò è un metallurgo, un moderno Efesto che lavora tra fumi e scintille, un Dedalo moderno, capace di invenzioni sorprendenti. Ruote dentate, cingoli, balestre, catene, mozzi, molle, alberi a camme, parti e ingranaggi di motori che un tempo vibravano di vita, diventano, grazie al suo lavoro, ossa e muscoli di creature che un tempo vivevano nell’immaginazione pagana, e vanghe, falci, erpici, picconi, tenaglie, utensili dismessi perché rovinati dal lavoro, trovano una nuova funzione come petti e fianchi, mani, dita, artigli, di eroi resuscitati o creature che riaffiorano dall’antico immaginario come le -statue e i bronzi antichi dalla terra che li ha coperti.
Ecco la Lupa feroce, metallica guardiana e sollecita nutrice di Romolo e Remo, una coppia di meccanici gemelli.

La Chimera – quella d’Arezzo, ora a Firenze – è resa ancora più spaventosa nella sua moderna corazzatura che gli fa da corpo, mentre affronta con ferina audacia l’invisibile Bellerofonte che spegnerà di lancia il suo ferrigno ruggito. Le sue fauci sono ferri di cavallo, le corna della testa di capra che ha sul dorso un manubrio, e il corpo di serpente che gli fa da coda e sembra frustare l’aria, sono le maglie articolate di una catena di trasmissione.

Tra le opere esposte tutte supera in grandezza il Laocoonte – espressamente commissionato dalla Galleria che da questa eroica e sfortunata vittima degli Dei prende il suo nome – un’opera che supera l’antico pathos e sembra suggerire alla futura intelligenza artificiale una capacità che essa ancora non ha: quella del dolore. Qui Patrick Alò arriva a commuoverci, fingendo che un ammasso di ferraglia sia capace di soffrire per il destino dei suoi figli e della sua Patria, Troia, che brucerà stanotte.
Ancora una Sfinge, arcaica nell’ispirazione, ieratica nella posa, drizza le sue ali stilizzate che sono lame di falce. Custode del mistero, essa, come il mito insegna, è una creatura fatale.

Un piccolo Apollo del Belvedere, come l’originale vanto del Museo Vaticano, al tempo di Giulio II, sarebbe forse piaciuto a Winkelmann, che lo poneva in cima ad ogni opera dell’antichità. La minuta cura con cui sono rese le sue forme e le eleganti pieghe con cui il suo manto cade dal braccio, hanno del sorprendente. Ad un tempo ricorda i preziosi bronzi del Rinascimento e i prodigiosi automi ad orologeria che facevano ricche le antiche Wunderkammer di principi e imperatori.

L’Ercole Farnese di Glicone, ora al Museo Archeologico di Napoli, è un marmo alto più di tre metri, Patrick Alò l’ha riprodotto in pochi centimetri. Forse non tutti sanno che Glicone era solo un copista e che il vero originale era un bronzo di Lisippo, sopravvissuto a Costantinopoli fino al 1205, quando i crociati lo fusero per battere moneta. Dal crogiolo dell’immaginazione dell’artista è rinato questo, come un piccolo atto di riparazione.