Nato a Santa Giulietta in provincia di Pavia il 13 agosto 1898 da Francesco, fattore presso la tenuta di Griziotti nell’Oltrepò pavese e Rosa Porcellana, studia e si diploma come ragioniere, ma altra è la sua vocazione. Gino Soggetti è un giovane di temperamento audace e ribelle, a diciotto anni aderisce entusiasticamente al movimento futurista, confidando nella sua vocazione rivoluzionaria. Nello stesso anno collabora a «L’Italia Futurista» e fonda, insieme al suo più grande e fedele amico, Angelo Rognoni (1896 – 1957), la rivista «La Folgore Futurista». Successivamente, nel 1922, fonda la casa editrice «Avanguardia», con l’obbiettivo di sostenere i giovani scrittori.
Sull’onda di un’entusiastica visione del Futurismo, di ritorno dal fronte, partecipa alle rassegne organizzate dal movimento in Italia, tra queste ricordiamo quella del 1918 alla Galleria Centrale di Milano, e la Mostra Nazionale Futurista che si tenne nello stesso anno a Piacenza.
Ma già nei primi anni Venti del Novecento, Soggetti deluso dall’inaspettato conservatorismo del movimento, si apparta in quello che egli definisce “Il mio futurismo”. Al primo Congresso Nazionale futurista, infatti, l’artista, rappresentante delle correnti anarchiche di Torino e Novara, era entrato in rotta di collisione con Marinetti.
Negli anni seguenti partecipa ancora alle rassegne d’arte futurista, anche se sempre meno convinto. Nel 1926 è invitato da Enzo Benedetto (1905-1993) alla Mostra dei Pittori Futuristi della IV Biennale di Reggio Calabria. E ancora nel 1930 trascinato da Fillia (1904-1936) partecipa alla XVII Biennale di Venezia. Fu in questa occasione che l’amico Rognoni gli dedicherà un articolo, pubblicato su «Novale», da cui emerge la puntuale descrizione dell’iter artistico di Soggetti, a partire dalle Tavole Parolibere del 1917. L’artista, spiega Rognoni, “concepisce il quadro come un libro di molte pagine condensate in una sola facciata, opera narrativa quindi, romanzo o poesia, che lo spettatore non deve guardare con beatitudine più o meno assonnata, ma che deve cercare di compenetrare e di assorbire per vivere nel mondo lirico dell’artista”.
Le sue opere di grafica pubblicitaria, soprattutto per Cinzano, Campari e Gancia firmate con la sigla “gi.so”, sono la chiara espressione di una maestria maturata nei canoni futuristi, rare e preziose non solo per lo scarso numero di esemplari, ma perché obbiettivamente di grande qualità.
L’artista muore a Pavia nel 1958.

 

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