Il cartone, com’è noto, è un disegno grande quanto l’opera o la parte di opera che l’artista intende realizzare. Debba essere questa un quadro, un affresco, una vetrata, un mosaico o un arazzo, il cartone è una realizzazione necessaria affinché l’opera sia portata a termine dall’artista stesso o dalle maestranze specializzate che devono materialmente compierla.
Non deve stupire dunque che nel ‘900 italiano, legato al ritorno alle tecniche di decorazione antiche e tradizionali, sopravvivano questi grandi fogli su cui l’ispirazione dell’artista, già spesa in studi, schizzi, modelli e bozzetti, ha saputo trovare finalmente la vera misura e le linee definitive della forma del proprio lavoro.
Certo, tracciare sull’intonaco o la tela il disegno è solo il principio dell’opera quando essa è pittura, mentre il cartone per mosaico o arazzo è spesso già colorato dal pittore e dunque “finito” per ciò che lo riguarda.
In ogni caso dopo il cartone è raro che l’artista abbia pentimenti e che dunque vi siano grandi differenze rispetto al risultato definitivo. E’ dunque il cartone l’ultimo luogo delle incertezze, dei ripensamenti, dei cambiamenti improvvisi in corso d’opera. Sono le cancellature, le correzioni, ciò che rendono il cartone una sorta di sindone di carta di tutta la passione e le sofferenze di un artista nel corso della creazione del proprio capolavoro. E’ questa qualità del cartone in cui l’opera d’arte e il documento di lavoro si confondono che costituiscono la sua maggiore attrattiva. Se imperturbabile nella sua durevolezza è il buon fresco, brillante il mosaico, splendente la vetrata, il cartone invece non mostra solo gli accidenti occorsi durante la lavorazione, ma il tempo anche lo rende fragile come un antico documento autografo. Da qui la sua preziosità, la reverenza con cui esso va trattato e mostrato.
La Galleria del Laocoonte di Roma ha adunato più di una ventina di cartoni di maestri del ‘900 italiano, rastrellati dal mercato dell’arte o direttamente dagli eredi degli artisti, per costituire una sorta di pinacoteca di “disegni smisurati” per dimostrare l’alto livello dell’esercizio del disegnare nella prima metà del secolo scorso.
Si va dal dannunziano Adolfo De Carolis di cui si espone il grande foglio preparatorio del dipinto primavera (1903) ad una monumentale figura di Mario Sironi che pare scolpita nella roccia a colpi di grafite. Del poliedrico Duilio Cambellotti è esposto il cartone per il rosone realizzato in vetri colorati per la Cattedrale di Teramo, oltre a due disegni preparatori per i manifesti del film Fabiola, peplum cristiano che fu uno dei primi kolossal italiani del immediato dopoguerra. Due maestosi cartoni per gli affreschi dello scalone del palazzo dell’INA a Roma – ora proprietà dell’Ambasciata Americana – sono opera del quasi dimenticato Giulio Bargellini (Firenze 1875- Roma 1936), frescante instancabile di terme, banche e ministeri dove andò traducendo in italiano le archeologie viventi di Alma Tadema e le bellezze femminili che Klimt aveva trasformato in sontuose carte da parati. Di questo artista la Galleria del Laocoonte sta preparando una grande mostra e il catalogo generale delle opere.
Achille Funi (Ferrara 1890 – Appiano Gentile, Como 1972) non è stato solo un formidabile frescante ma un restauratore in chiave moderna dell’arte di Giotto e Piero della Francesca con l’intento di ridar vita nell’Italia contemporanea alla storia antica, al medioevo e al rinascimento, raccontandola ai contemporanei come una favola mitologica. Naturale che egli qui abbia la parte del leone, con due schiere di soldati romani disegnati per il Martirio di S.Giorgio per la chiesa omonima a Milano in via Torino, le figure di Didone e della sorella Anna per la sala dell’Eneide, affresco effimero eseguito per la Triennale di Monza del 1930, una Zuffa di Cavalieri nella “Battaglia” di Legnano per la Sala Consiliare del Municipio di Bergamo ed infine la Vergine annunciata, cartone colorato a pastello per la pittura della chiesa di San Francesco a Tripoli, in cui ha raffigurato la propria allieva e amante Felicita Frai.
Di Gino Severini è una Madonna con Bambino per la Cattedrale di Losanna. Di Galileo Chini una delle virtù, che ornavano il Padiglione delle Esposizioni della Biennale di Venezia. Il cartone di carta lucida, perforato per il trasferimento a spolvero, ha assunto con il tempo l’aspetto di un’antica pergamena, mentre la figura, i cui contorni sono definiti dalla polvere di carboncino rimasta nei fori, ha l’aspetto di un apparizione irreale.
Publio Morbiducci (1889-1963), l’autore del Monumento al Bersagliere a Porta Pia, è l’autore di una serie di disegni con trionfi di spoglie militari in cui le armi dell’antichità classica sono commiste con quelle moderne dell’ultima guerra. Erano per grandi pannelli in vetro smerigliato, ma la sconfitta di quelle armi stesse venne prima della realizzazione finale. Del calabrese Achille Capizzano, autore tra l’altro di alcuni mosaici del Foro Italico, sono presentate due scene dalla divina Commedia ispirate ad antiche xilografie.
Infine di Ottone Rosai è un Giovinetto Crocifisso sospeso quasi a grandezza naturale su un vasto foglio, in cui il rovello del disegno per rendere l’anatomia del corpo si traduce in un’apparenza espressionista di grande pathos, in cui l’immagine sacra è anche sacra rappresentazione della propria tormentata omosessualità.
Marco Fabio Apolloni