Achille Funi
(Ferrara, 1890 – Appiano Gentile, 1972)

Venere latina
1930
Olio su tela, cm 160 x 125
Firmato e datato in basso a destra

Provenienza:
Galleria Milione;
Studio d’Arte Palma, Roma, n. 322.

Esposizioni:
1930, 17. Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia: catalogo, Venezia 1930, p. 76, n. 13.
1930, Achille Funi, Milano, Galleria Milano.
1932, Otto pittori moderni, Milano, Galleria Milano.
1973, Achille Funi, catalogo della mostra, (Milano, Palazzo della Permanente, ottobre-dicembre 1973), p. 100, n. 44.

Pubblicazioni:
V. Costantini, Scultura e pittura italiana contemporanea, Milano 1940, p. 291.
E. Lavagnino, L’arte moderna dai neoclassici ai contemporanei, Torino 1956, ill. n. 104.
R. de Grada, Achille Funi, Milano 1974, p. 161, n. 87.
N. Colombo, Achille Funi. Catalogo ragionato dei dipinti, vol. II, Milano 1996, p. 185, n. II.285.

La Venere latina rinnova l’iconografia classica che mette in scena un tema mitologico entro un paesaggio classico, ideato dall’assemblaggio di elementi significativi del culto dell’antichità, ispirazione che trovava in Funi uno dei massimi cultori nel clima artistico del “Ritorno all’ordine” insieme a Giorgio de Chirico.
Protagonista del dipinto è l’immagine di Venere, dea romana, incarnazione della Bellezza e dell’Amore, antenata del popolo di Roma e divinità equivalente alla greca Afrodite. L’artista ferrarese era particolarmente legato a tale raffigurazione simbolica, al punto da conservare nel proprio studio la riproduzione a misura naturale di una copia della acefala Venere di Cirene, che aveva più volte raffigurato nelle proprie composizioni, come nel noto Publio Orazio uccide la sorella (1930-1932), conservato alla National Galerie, Staadtliche Museen di Berlino (Achille Funi. Catalogo ragionato dei dipinti, n. II.318).
Nell’opera qui in esame, ritrovamento significativo in quanto assente da decenni dai circuiti collezionistici ed espositivi, la figura della divinità appare mediata da una diversa soluzione anatomica riferibile all’esempio della Venere dei Medici, statua ellenistica conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze, a differenza della quale Funi evita la schermatura pudica del pube e man- tiene, accentuandola, la flessione del braccio destro verso l’alto e la posizione delle gambe modellate sul ritmo incrociato del canone policliteo.
È interessante sottolineare quanto, in prossimità della data di esecuzione di Venere latina, l’artista espandesse le dimensioni delle proporzioni anatomiche e delle composizioni verso equilibri che andavano adeguandosi alla nuova ispirazione parietale, a quella parabola decorativa murale di cui con Mario Sironi sarebbe stato, proprio a partire dal 1930, il massimo esponente in ambito italiano.
Le rappresentazioni di corposi nudi statuari, come nel caso della Venere in esame o del coevo Nudo di donna con statua (Achille Funi. Catalogo ragionato dei dipinti, n. II.301), tematiche replicate anche in versioni maschili come in Nudo maschile con scultura – 1930 – o in Mercurio – 1937 – (Achille Funi. Catalogo ragionato dei dipinti, nn. II.330, II.354), tutti realizzati su grande dimensione, risentivano dell’influsso della pittura vascolare pompeiana, ammirata e ripresa da Funi a seguito delle numerose visite post-1927 a Pompei, a Ercolano e al Museo Archeologico di Napoli, dove si recava anche in compagnia di Arturo Tosi e di Leonor Fini.
La Venere latina è ornata da un drappeggio che rinvia alle iconografie femminili pompeiane, avvolte solo parzialmente in panneggi monocromi. Le rovine del paesaggio classico che fanno da scenario alla imponente figura centrale sono corredi molto ricorrenti nelle opere funiane del momento, tele e tavole affollate di frammenti ricavati dalla statuaria classica, di capitelli corinzi precipitati al suolo, di tempietti appollaiati sui fondali di colline immaginarie.
Alla data del 1930 il Novecento italiano era entrato in crisi, minato dalle polemiche e Funi risentiva della precarietà della tenuta di una visione classica, cui era particolarmente legato e che era assurto a tema dominante della sua poetica per tutto il decennio trascorso. All’approssimarsi di un doloroso cambio di passo storico, le iconografie funiane si arricchivano di relitti e di rovine di quel sogno classico che stava rischiando di sparire, traducendosi spesso in visioni drammatiche, come nel dipinto di recente recupero intitolato Apocalisse, anch’esso realizzato nel 1930 (Achille Funi e gli amici pittori di “Novecento”, catalogo della mostra, Milano 2018, n. 23, p. 48).
Nella Venere latina però il sogno della classicità si eternava e il rischio di estinzione della tradizione, suggerito dai relitti statuari e architettonici, veniva pienamente riscattato dalla collocazione centrica della Dea, serena portatrice di amore e di rinascita, significativamente ammantata da un lungo drappo verde, antico colore simbolo di perseveranza, di equilibrio e di conoscenza.
Nicoletta Colombo